La cartesiana limpidezza della crisi permanente

di Igino Panzino.

Stazioni è il titolo che ho dato alla mia personale che è stata inaugurata presso il Museo Diocesano Arborense di Oristano sabato 29 aprile.

La maggior parte delle mie mostre personali fatte fino ad ora, una cinquantina, che rispondono ad una media di circa una all’anno da quando ho iniziato il mio esercizio, sono state mostre dove ho esposto gli ultimi risultati della ricerca condotta nel momento, come degli aggiornamenti periodici sulla mia attività.

Questa è la prima esposizione che invece raccoglie momenti e passaggi diversi del mio lavoro, una ampia sintesi che non si può definire una vera antologica, dato che mancano intere parti del lavoro che ho svolto in questi cinquant’anni, ma che comunque riesce a dare un’idea complessiva della mia produzione e della mia ‘poetica’.

Da qui, e in considerazione del luogo in cui si svolge, l’idea del titolo della mostra. Un titolo che rimanda ovviamente alla ‘Via Crucis’ della cultura liturgica cattolica.

Senza voler fare paragoni irriverenti anche gli artisti in qualche modo percorrono una loro sorta di ‘Via Crucis’, una strada segnata dal cercare di prendersi cura, di dare un senso civile e culturale al loro talento naturale che da solo non basterebbe a dare contenuto alla propria ricerca.

Tracciata dalla necessità di capire, tra continui dubbi, quale sia la funzione sociale dell’arte e dei suoi protagonisti e quale sia in sostanza l’impatto reale e storico dato nel tempo da questa forma di espressione dell’intelligenza.

Marcata inoltre dal continuo domandarsi se si è incontrato e se si è riusciti a interpretare il proprio tempo, o perché no, chiedersi se è necessario e se lo si vuole davvero incontrare questo tempo, anche quando non ci si riconosce, o se non sia meglio rifugiarsi in quell’universo parallelo fatto di poesia in cui l’arte sa spesso prendere forma.

Una dimensione nella quale l’arte assume la stessa funzione che i sogni hanno per l’individuo, diventando valvola di scarico degli ‘stress’ della collettività. Per cercare infine di capacitarsi delle ragioni degli scarti che ci possono essere tra il modo di intendere la propria missione e il mondo materiale a cui si appartiene.

Percorsi dunque lastricati di dubbi, nel mio caso ben capiti e ben descritti a suo tempo da Marco Magnani, che scriveva di me come di un artista che continua a lavorare sia pure con ‘cartesiana limpidezza’ sul suo stato di ‘crisi’ permanente.

Per quanto mi riguarda mi è sempre stata di conforto l’idea che nell’arte nulla sfugge al linguaggio, materia che rappresenta una particolare sfaccettatura della realtà e che quindi occuparsi di ricerca sul linguaggio significhi avere a che fare con un aspetto, non certo secondario, anzi in continua crescita, della realtà.

Come per la chiesa cattolica anche per me l’uomo è un’entità indivisibile composta di corpo e anima ed indivisibili sono di conseguenza i suoi bisogni di nutrimento sia materiale che spirituale.

Credo quindi che l’arte costituisca appunto un fondamentale apporto come cibo per la mente, non solo sotto forma di intrattenimento ma proprio come strumento necessario per mettere in connessione tra loro quei vari neuroni che girano solitari nelle nostre capocce.

La mia prima mostra risale al 1972, a più di cinquant’anni fa, ho perciò iniziato a lavorare nel clima di svecchiamento dell’arte già avviato in Sardegna, che ebbe come protagonisti figure come Mauro Manca, Nino Dore, Gaetano Brundu, Aldo Contini, Tonino Casula, Ermanno Leinardi, Luigi Mazzarelli e altri dei quali non posso fare qui un elenco completo.

Anche io ho cercato di dare il mio contributo per una discontinuità che però ha sempre voluto essere congrua, che cioè, a differenza della visione di diversi artisti coinvolti in quel processo, non disconoscesse i meriti di chi ci ha preceduto nella storia del novecento, prima della quale, salvo poche eccezioni, la nostra è stata percepita prevalentemente come una storia dell’archeologia.

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La mostra al Museo Diocesano Arborense a Oristano in Piazza Duomo 1 sarà visitabile dal 29 aprile al 25 giugno.

Le foto sono di Gabriele Calvisi

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