L’acqua, il sole e il vento sono beni comuni

di Giampiero Vargiu.

L’acqua, il sole e il vento sono nostri beni comuni e sono una risorsa inestimabile per la Sardegna. Possono essere visti come una risorsa strategica, che merita più attenzione di quanta ne abbiamo riposto fino ad oggi. Meritano un approfondimento, un vero coinvolgimento di tutti i territori, una partecipazione collettiva a un progetto che può significare una vera svolta che guarda al futuro e alle nuove generazioni: una sfida, un atto di responsabilità collettiva e un atto di grande coraggio, che è un ingrediente indispensabile della “Politica”.

Stiamo parlando della Transizione Ecologica, che, insieme alla Transizione Digitale, sono le sfide più ardue del XXI secolo per l’umanità. Per riuscire in questo intento serve un progetto che si regge su quattro gambe.

Un processo per la sostenibilità e l'equità

     La prima e imprescindibile gamba è da costruire sull’esigenza che sia innescato un processo culturale, sociale ed economico incentrato sulla sostenibilità e sulla equità. Una rivoluzione come quella legata ai cambiamenti climatici va fatta anche con i “cattivi”, ma non possono essere questi ultimi a dettare le regole. Certo, poteva sembrare una sconfitta che la COP 28 fosse organizzata negli Emirati Arabi Uniti e che la presidenza fosse di Al Jaber, CEO della principale compagnia petrolifera emiratina. A questo si aggiunge che la prossima COP sarà a Baku in Azerbaigian, altro paese produttore ed esportatore di petrolio. A COP 28 ultimata, la prima considerazione che si può fare è che è finita un’epoca. John Kerry ha annunciato che “Stati Uniti e Cina – i due maggiori emettitori al mondo – hanno concordato che entrambi intendono aggiornare le strategie a lungo termine e invitano altre parti ad unirsi”. Come dicono molti che ritengono indispensabili interventi radicali e in breve tempo per porre rimedio alle conseguenze dei cambiamenti climatici non ci sono obblighi cogenti, né vengono individuati controlli e tempi certi ma l’accordo (Global StockTake) raggiunto, per la prima volta invita tutte le nazioni ad abbandonare i combustibili fossili per scongiurare i peggiori effetti del cambiamento climatico e questo è avvenuto con il consenso dei paesi produttori ed esportatori di combustibili fossili e dei maggiori emettitori di gas climalteranti. Ci sono obiettivi non condivisibili come quelli sul nucleare e la cattura della CO2, ma si può ripartire da questi obiettivi siglati da 198 nazioni:

  • triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e raddoppiare il tasso medio annuo globale di miglioramenti dell’efficienza energetica entro il 2030;
  • accelerare gli sforzi verso l’eliminazione graduale dell’energia prodotta dal carbone;
  • accelerare gli sforzi a livello globale verso sistemi energetici a zero emissioni nette, utilizzando combustibili a zero e a basse emissioni di carbonio ben prima o entro la metà del secolo;
  • abbandonare i combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere net-zero emission entro il 2050 in linea con la scienza;
  • accelerare le tecnologie a zero e basse emissioni, comprese, tra l’altro, le energie rinnovabili;
  • accelerare e ridurre sostanzialmente le emissioni diverse dal biossido di carbonio a livello globale, comprese in particolare le emissioni di metano entro il 2030;
  • accelerare la riduzione delle emissioni derivanti dal trasporto stradale impiegando varie modalità, anche attraverso lo sviluppo delle infrastrutture e la rapida diffusione di veicoli a zero e a basse emissioni;
  • eliminare gradualmente, quanto prima possibile, i sussidi inefficienti ai combustibili fossili che non affrontano la povertà energetica o le semplici transizioni.

     Inoltre, l'accordo invia un segnale forte alle industrie e agli investitori: il tempo sta per scadere per il petrolio e il gas, così come per il carbone, che è stato oggetto di una "riduzione graduale" alla COP26 di Glasgow. "Le istituzioni finanziarie e gli investitori devono esserne consapevoli", afferma Mark Campanale, fondatore e direttore di Carbon Tracker. "Le centinaia di miliardi investiti nell'espansione dei combustibili fossili stanno diventando molto più rischiose. La COP e lo slancio che essa genererà renderanno più probabile l'abbandono dei combustibili fossili".

     Un ruolo importante sta assumendo l'Unione Europea in questa ottica, ma l’Europa non è decisiva, ci vuole un'azione più vigorosa e accordi internazionali a livello mondiale che mettano la Transizione Ecologica e l’uscita dalle fonti fossili come obiettivo primario in tempi brevi. La Transizione Ecologica deve avvenire in un’epoca nella quale è in atto un’altra rivoluzione, quella digitale, nella quale l’uomo si sta modificando antropologicamente e vive in un ambiente, quello digitale, con un processo che ha avviato, ma che non riesce a controllare. Il Digitale è intrinsecamente un modello binario (si, no, on, off), che non agevola i modelli di società a partecipazione democratica e dialoganti, per cui tale approccio può influenzare negativamente in modo significativo il processo, in particolare quello culturale e sociale, nella direzione di una presa di coscienza condivisa dei cambiamenti climatici e delle sue conseguenze sulla vita degli esseri umani.

     Luciano Floridi nei suoi saggi scrive delle conseguenze della cosiddetta rivoluzione digitale, legata, soprattutto, alla Intelligenza Artificiale (AI). Tale rivoluzione cognitiva ha eliminato l’ultima illusione dell'uomo di essere al centro dell'universo. Infatti, gli esseri umani hanno avuto già tre delusioni:

-        prima della rivoluzione copernicana, che ha dimostrato che la nostra terra non è il centro intorno al quale ruota tutto, vivevano sé stessi come i soggetti al centro dell’universo,

-        prima della rivoluzione darwiniana, che ha dimostrato che sono frutto di una evoluzione e, forse, un bellissimo errore, percepivano sé stessi come i dominatori incontrastati del pianeta,

-        prima della dottrina freudiana, che ha dimostrato che non sono in grado di controllare la propria mente sempre in maniera consapevole, ritenevano ancora di avere il pieno controllo del proprio pensiero.

     Con la rivoluzione digitale e la successiva immersione in un nuovo ambiente chiamato Infosfera, l’uomo perde anche la convinzione di essere il controllore delle informazioni, considerato che gli algoritmi, esseri non intelligenti ma terribilmente performanti, sono in grado di controllare le informazioni in maniera centinaia di volte più efficienti degli esseri umani. Pur essendo intelligenti, gli esseri umani perdono sempre a scacchi con il computer, che non è intelligente ma ha una capacità computazionale infinitamente più grande.

     Un discorso così complesso, in una società che è diventa “liquida” e non ha punti di riferimento certi e in questo periodo che il dopo Coronavirus ha reso tutto più complicato, lascia però la speranza che l’uomo possa ancora essere il protagonista del suo futuro, nelle metropoli come nei centri periferici.

     In questa situazione, nella quale gli esseri umani hanno perso molte certezze, che cosa possono fare? Possono ancora pensare di vivere in una Società che ha l'ansia di poter consumare tutto o in una Società che si prende cura del mondo e dell'altro?

     Questo può succedere se si diventa consapevoli che, dopo le epoche delle invenzioni e delle scoperte, bisogna sviluppare le potenzialità del “Design Concettuale”. Qualunque cosa può essere disegnata e realizzata in tanti modi diversi, ugualmente validi. Questa è l'epoca della creatività e della cultura. L’essere umano può progettare, disegnare anche il proprio futuro.

     In particolare, il saggio “Il verde e il blu” di Luciano Floridi contiene molte proposte interessanti in vista della progettazione di una Società equa e sostenibile nell'epoca del digitale, dell'intelligenza artificiale e dell'Internet delle Cose. Lo scenario descritto configura un cambio del modello di "Società Umana", un nuovo modello sociale, una democrazia mondiale avanzata, un'”Economia Circolare". È un'utopia? No, è una necessità e, comunque, gli esseri umani hanno fatto grandi cose quando ha creduto nelle utopie. Si, gli obiettivi di garantire la possibilità di sopravvivenza sulla Terra per molti altri millenni sono legati, in particolare, anche a scelte di democrazia energetica, servono scelte coraggiose per invertire la situazione sui cambiamenti climatici, che non possono essere più negati. Serve un'altra narrazione, strettamente legata con quanto fin qui scritto. Per modificare il paradigma energetico occorre anche un nuovo modello economico di "Società Umana", non più basato sul PIL, sulla crescita infinita. Fin qui l'economia mondiale si è sostanzialmente retta su due postulati del neoliberismo:

- la crescita, dopo un prima periodo di aumento della povertà, è in grado, successivamente, di diminuirla e regalare a tutti prosperità;

- la crescita, dopo un primo periodo, nel quale aumentano i rifiuti e l'inquinamento e si fanno sentire gli effetti negativi dei cambiamenti climatici, è in grado di fornire all'umanità gli strumenti per invertire questa rotta nefasta.

È in atto da decenni un fallimento totale su entrambe le questioni citate e la situazione si sta aggravando sempre di più.

     Ci sono vari modelli economici alternativi a quello neoliberista.

In particolare, è convincente il modello espresso nel saggio di Kate Raworth "L'Economia della Ciambella" con sottotitolo "Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo", nel quale l'economista scrive che oggi "La sfida che l'umanità ha di fronte è epocale, la pressione umana sui sistemi naturali è completamente insostenibile e, con i grandi cambiamenti globali che abbiamo indotto nella natura, la nostra stessa civiltà è a rischio", per cui occorrono scelte coraggiose, che guardano al futuro, la transizione ad un "Sistema Energetico Sostenibile, Diffuso e Democratico".

Parlare e discutere di energia lo si deve fare avendo ben presenti questi concetti:

  • i cambi di paradigma energetico hanno sempre significato, nella storia dell'Umanità, un cambio del modello e della struttura sociale, ha portato innovazione e un miglioramento della "capacità di relazione" tra gli umani: i passaggi dall'uomo cacciatore - raccoglitore a quello agricolo, a quello tecnologico, moderno, post moderno si sono sempre accompagnati alla evoluzione dei modelli energetici, che dall'"energia delle braccia" sono passati alle prime macchine idrauliche, alle macchine per la stampa, alle macchine a vapore con lo sviluppo del carbone, alle macchine a combustione interna con il petrolio e, oggi, alle macchine ibride, elettriche, a idrogeno, a guida autonoma, nell'era dell'intelligenza artificiale, dell'internet delle cose, della realtà aumentata e dei Social Network;
  • i cambi di paradigma energetico, con i conseguenti stravolgimenti sociali e culturali, hanno accompagnato l'uomo dalla "coscienza mitologica", al "cervello teologico e dell'economia patriarcale", alla "Rivoluzione industriale leggera", al "pensiero ideologico nella moderna economia di mercato", alla "coscienza psicologica nel mondo esistenzialista postmoderno" e, oggi, al "se teatrale nella società dell'improvvisazione", come scrive Jeremy Rifkin nel suo saggio "La Civiltà dell'empatia". Ha portato allo sviluppo delle moderne democrazie rappresentative e, auspicabilmente nel futuro, con l'avvento di un "Sistema Energetico Sostenibile, Diffuso e Democratico", ad un modello di "Società Umana" sociale, partecipata, sicura, equa e democratica".

     Ecco, un nuovo paradigma energetico necessita di una nuova Società, nella quale si passa dalle grandi centrali di produzione e dalle grandi distribuzioni, con un modello centralizzato e piramidale, che è specchio anche di una Società verticistica, di grandi disuguaglianze e antidemocratica a una Società ad energia distribuita, rinnovabile e sostenibile, efficiente, con reti intelligenti, una Società democratica, equa e sicura, così come definita da Kate Raworth in "L'Economia della ciambella", che altro non è che la base teorica dell'"Economia Circolare".

Per ora, le tecnologie digitali, come scrive la Raworth, hanno generato due tendenze opposte:

  1. un'era di collaborazione a costi marginali quasi nulli per i network, come ha già scritto anche Jeremy Rifkin nel suo saggio "La Società a costo marginale zero" con sottotitolo "L'internet delle cose, l'ascesa del Commons (Comunità Cooperative dell'inizio della rivoluzione industriale in Inghilterra) collaborativo e l'eclissi del capitalismo", con una crescita dinamica dei beni comuni gestiti collettivamente. Potrebbe scatenare una rivoluzione nella proprietà distribuita del capitale. Chiunque ha una connessione a internet può intrattenere, informare, imparare e insegnare in tutto il mondo. Il tetto di ogni casa, scuola o attività commerciale può generare energia rinnovabile e, se accede, per esempio attraverso la cosiddetta piattaforma del "blockchain" con la moneta digitale "Ethereum", può venderne l'eccesso a una microrete. Con una stampante 3D chiunque può scaricare progetti o crearsi i propri e stamparsi su misura gli strumenti o i dispositivi di cui ha bisogno: è l'essenza della progettazione distribuita. L’Web 3.0 è un possibile ulteriore salto in avanti per una rete internet distribuita, teorizzato da Gavin Wood, può essere unanuova versione del web fondata su alcuni principi chiave come la decentralizzazione, la componibilità delle applicazioni, l’accessibilità dei servizi, la privacy dei dati, la possibilità per gli utenti di possedere e scambiare asset digitali e gestire la propria identità online senza intermediari;
  2. Ma sta succedendo anche che i colossi del digitale stanno creando dei pericolosi monopoli e, di fatto, gestendo i beni comuni sociali globali nel loro esclusivo interesse commerciale, anche dotandosi di batterie di brevetti per salvaguardare i loro privilegi.

     La Raworth  con “L’economia della ciambella” immagina un Modello Economico di Società non più basato sul PIL ma sulle reali esigenze degli umani, raffigurato da una ciambella, costituita da due cerchi, uno interno ed uno esterno. All'interno del cerchio interno ci sono le condizioni di povertà. All'esterno del cerchio esterno ci sono le condizioni negative create dai cambiamenti climatici indotti dall'uomo con il modello consumistico e della crescita senza limiti. Tra i due cerchi, cioè nella ciambella, ci sono "le condizioni di sicurezza e di equità del nucleo domestico planetario". Delle sette mosse individuate dall'economista è importante la prima "dal PIL alla Ciambella", nella quale proponendo di passare dalla "crescita infinita alla prosperità in equilibrio", individua quali sono i dodici bisogni socialmente ed ecologicamente equi, le condizioni  di "Base sociale" all'interno della ciambella, che consentiranno agli umani di sopravvivere e, quindi, i nuovi valori da perseguire:

  1. cibo sufficiente per tutti;
  2. acqua potabile e condizioni igieniche decorose;
  3. accesso all'elettricità e ad attrezzature per cucinare pulite;
  4. accesso all'istruzione e alla sanità;
  5. alloggi decenti;
  6. reddito minimo e un lavoro decoroso;
  7. accesso alle reti di comunicazione e supporto sociale;
  8. equità di genere;
  9. equità sociale;
  10. espressione politica;
  11. pace;
  12. giustizia.

     All'esterno del cerchio esterno la Raworth ha individuato i nove punti di "pressione sugli ecosistemi":

  1. inquinamento chimico;
  2. ciclo dell'azoto e del fosforo;
  3. consumo di acqua dolce;
  4. cambiamento di uso del suolo;
  5. perdita di biodiversità;
  6. carico di aerosol atmosferico;
  7. riduzione dello strato di ozono;
  8. cambiamenti climatici;
  9. acidificazione degli oceani.

     In sintesi, la Raworth individua una "base sociale e un tetto ecologico", come salvezza per l'Umanità, un'"Economia Circolare": tra la base per il benessere umano e la soglia per le pressioni sugli ecosistemi si trova lo spazio sicuro ed equo per l'Umanità, lo spazio della "ciambella". Una proposta che, se accolta nella vita reale, è in grado di generare un cambiamento strutturale nelle politiche di coesione sociale. Solo un cambiamento del modello economico della nostra società contemporanea porterà a risultati strutturali, ad una visione in grado di dare uguale dignità a tutti come "cittadini del mondo".

     Ecco, tra i bisogni minimi, individua un modello energetico diffuso, democratico ad energia distribuita, un modello diverso da quello fin perseguito con le fonti fossili, piramidale, inefficiente, inquinante. Il modello di Kate Raworth è quello dell’Agenda 2030 del 2015, che ha individuato 17 indicatori e 169 target per un modello di società sostenibile ed equa. Ma è anche il modello delineato dalla Strategia Nazionale di attuazione della Legge 163/2016, proposta nel luglio 2017 dal Governo Gentiloni, in base alla quale, la sostenibilità non va più coniugata solo in ottica ambientale, ma riguarda tutto l’agire politico, tutta la pianificazione strategica, dal lavoro alla giustizia, all’urbanistica, ai diritti civili e in base al Decreto "Individuazione di 12 Indicatori di Benessere Equo e Sostenibile (BES)" emanato il  16 ottobre 2017 dal Ministro dell'Economia e delle Finanze Padoan.

     Un altro contributo interessante da questo punto di vista lo ha prodotto l’economista Mariana Mazzucato, che, nel post covid cerca di mostrarci una luce in fondo al tunnel e ci incoraggia ad avere uno sguardo lungo. Mariana Mazzucato concentra, in definitiva, i suoi ragionamenti e le sue proposte sull'esigenza di rimuovere le disuguaglianze e di ripensare il capitalismo. Nel suo saggio "Non sprechiamo questa crisi" sviluppa questi concetti, in modo molto interessante. Nel terzo capitolo "Mai più salvataggi incondizionati", smentendo l'assunto classico che lo Stato sarebbe un peso per l'economia di mercato, evidenzia che lo Stato deve riscoprire il suo ruolo tradizionale di "investitore di prima istanza", anziché di solo "prestatore di prima istanza". Non solo le imprese creano valore, con lo Stato che si deve limitare a facilitare questo processo e a correggere i fallimenti di mercato. Lo Stato si riprende il proprio ruolo di investitore, innovatore e creatore di valore. Questo cambio di paradigma è un presupposto essenziale per una politica efficace nell'era post Covid.

     Lo Stato innovatore devi riprendersi il ruolo di investitore con l'obiettivo di portare a un'economia più sana, resiliente e produttiva. Deve recuperare la capacità di progettare, attivare e imporre condizioni ai beneficiari del sostegno pubblico, che devono operare con l'obiettivo di favorire una crescita inclusiva e sostenibile. Nel saggio individua le “Condizionalità” come l'obbligo di riduzione delle emissioni climalteranti, il trattamento dei dipendenti con dignità, sia dal punto di vista retributivo che delle condizioni di lavoro, la riduzione delle retribuzioni dei dirigenti, l'astensione dall'outsourcing e della delocalizzazione come condizioni per la concessione di contributi o finanziamenti.

     Nel quarto capitolo "Socializziamo i guadagni, non solo i rischi", ribalta l'assunto, che ha molto contribuito all'aumento delle disuguaglianze, "socializziamo i rischi ma privatizziamo i guadagni". A questo riguardo avanza una proposta molto interessante riguardo ai pacchetti di incentivi erogati dagli Stati, avvenuti senza creare strutture capaci di trasformare i rimedi a breve termine in strumenti capaci di realizzare un'economia inclusiva e sostenibile. La proposta è di far seguire gli investimenti pubblici, che sono di tutti i cittadini, da un "dividendo di cittadinanza", con l'obiettivo di trasformare un investimento pubblico per le imprese e la ricerca in un'occasione di remunerazione per i cittadini.

     Da queste due proposte ne verrebbe una riduzione delle disuguaglianze, con la socializzazione sia dei rischi che dei benefici.

     Tutte queste proposte di Luciano Floridi, Kate Raworth e di Mariana Mazzucato possono servire a trovare molte delle risorse necessarie per fare una Transizione Ecologica equa e socialmente sostenibile, strettamente legata alla Transizione Digitale, con questa seconda che può essere di grande aiuto alla prima.

Una strategia energetica

     La seconda gamba è data dall’esigenza di mettere in campo una strategia energetica di breve, medio e lungo termine, incentrata su quattro aspetti:

  • Consapevolezza criticità attuali;
  • Obiettivi;
  • Azioni;
  • Risorse.

     Per quanto riguarda la Sardegna, dobbiamo co-programmare e co-progettare un nuovo PEARS, che abbia a monte anche un disegno di politica industriale, che metta al centro del nostro agire l’acqua, il sole e il vento, secondo uno scenario ben preciso, che preveda un mix energetico di fonti rinnovabili secondo vari progetti già individuati anche a livello nazionale, come quello del Politecnico di Milano:

  • Elettrificazione domestico, terziario, piccole e medie imprese, mobilità leggera;
  • Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) e Reti di Comunità di Paesi Efficienti in grado di utilizzare al meglio le tecnologie delle Smart City;
  • Rimodulazione dei PAESC (Piani di Azione delle Energie Sostenibili e il Clima) e dei Patti dei Sindaci per farli diventare uno strumento serio e strutturale di programmazione e progettazione di Comunità Sostenibili;
  • Idrogeno verde per l’industria pesante e la mobilità pesante da qui al 2030, che è una misura da accompagnare da una sovraproduzione di energia da rinnovabili per alimentare gli indispensabili elettrolizzatori per l’idrogeno verde;
  • Spostamento importante su ferrovia elettrificata e a idrogeno della mobilità entro il 2040;
  • Accumuli elettrici e idroelettrici;
  • Tyrrenian Link;
  • Gas per i due poli sud e nord con depositi satelliti (depositi criogenici + vaporizzatori) e gas negli ambiti gestiti da Italgas (24 bacini sui 38 previsti) e dalle altre compagnie. Queste soluzioni devono essere viste come alternative a quelle a rinnovabili e vanno pensate per la sola transizione verso le rinnovabili per la sicurezza del sistema energetico sardo con il subentro dell’idrogeno e dei biocombustibili entro il 2030 definitivamente;
  • Sardegna 100% rinnovabile al 2040;
  • Nuovo PEARS in sintonia con gli obiettivi e i conseguenti scenari previsti;
  • Agenzia dell’Energia della Regione Sardegna con articolazioni sul territorio.

     Un no deciso per le CCS e per il nucleare di quarta generazione: non risolvono i problemi, né dal punto di vista tecnico-ambientale né economico. Va bene continuare la ricerca sulla fusione nucleare.

     In questa strategia verso le fonti rinnovabili (produzione, consumo, efficienza, riciclo, un ciclo di vita virtuoso) si può impostare, responsabilizzando i nostri Centri di Ricerca (CRS4, Sardegna Ricerche, Porto Conte Ricerche, IMC etc.), le Università e le Imprese, una filiera industriale  [attività legate al Distretto aerospaziale, alla ricerca sulle onde gravitazionali (Einstein Telescope), utilizzo delle terre rare e dei materiali critici presenti anche in Sardegna, costruzione in Sardegna dei moduli fotovoltaici e degli aerogeneratori, sviluppo dell’idrogeno verde, biotecnologie, accumulatori elettrici, elettrolizzatori e apparecchiature legate a questi settori], che veda la Sardegna una terra attraente a livello internazionale, un’isola che “accoglie”. Un disegno di politica industriale con una strategia di lungo respiro, con obiettivi, risultati attesi e risorse adeguate. Un progetto realmente partecipato di “Sardegna 100% verde” al quale chiamare tutti, con, eventualmente, una conferenza finale che sancisca una strategia condivisa. Un progetto di progresso sociale, culturale ed economico. Ecco, non possiamo vincere una delle sfide più importanti del XXI secolo se non la affrontiamo nell’ottica di innescare un processo culturale “coinvolgente”, soprattutto, delle nuove generazioni, un processo partecipato, in cui credere fortemente, sul quale riversare ingenti risorse.

     Acqua, sole e vento significano anche turismo esperienziale e cultura. Una terra che accoglie, attraverso le residenze d’artista, i “nomadi digitali”, l’agricoltura di altissima qualità, l’artigianato artistico e l’innovazione tecnologica. Una terra che guarda al futuro, accogliente e adeguatamente formata. Anche la Formazione deve volgere il proprio sguardo a una visione di questo tipo.

     Acqua, sole e vento significano anche sviluppo degli sport acquatici più tecnologici, come lo wingfoil, il surf e il kitesurf. Sui materiali necessari in questi sport si può sviluppare una produzione interessante.

     In questo progetto non può mancare una particolare attenzione alla mobilità. Una terra accogliente, in grado di offrire una vita davvero desiderabile e sicura, deve puntare sulla elettrificazione spinta della mobilità leggera, puntare al 2030 sull’idrogeno per la mobilità pesante e per le attività che necessitano di alte temperature, sulla mobilità lenta con una rete infrastrutturale dell’intera isola anche su percorsi di notevole valore paesaggistico. Inoltre, da qui al 2050 va realizzata una rete ferroviaria diffusa degna di questo nome, in parte elettrificata e in parte a idrogeno. La rete della mobilità su ferro è il futuro della mobilità su terra, anche in vista dello sviluppo della guida autonoma perché mentre per avere lo sviluppo su gomma della guida autonoma serve adattare tutta la viabilità alle esigenze di corretta e sicura percorrenza dei veicoli attraverso una ridondanza di sensori, su ferrovia è semplice data la funzione dei binari che, di per sé, garantiscono una percorrenza corretta e sicura.

     È possibile, vari studi lo attestano, una “Sardegna 100% rinnovabile” al 2040. Gli obiettivi dell’Agenda 2030,  del New Green Deal e del Fit for 55% sono obiettivi minimi da raggiungere, serve maggiore coraggio e obiettivi più ambiziosi per una “Sardegna terra del sole”. Sono obiettivi che perseguiamo noi convintamente e non perché ce li impongono le Istituzioni internazionali.

     Altro tassello importante che non può mancare è una particolare attenzione alla risorsa idrica. Dobbiamo costruire un sistema idrico integrato, costruendo altre dighe per cercare di non perdere tutta l’acqua che cade nei momenti, che saranno sempre più numerosi con i cambiamenti climatici, delle bombe d’acqua e/o, comunque, durante gli eventi alluvionali, che non dobbiamo più vedere come casi eccezionali o emergenze. Gli stessi centri abitati dovranno prevedere la possibilità di piazze che si “allagano”, con spazi che, in queste situazioni, diventano spazi fruibili con la presenza d’acqua. Le “piazze allagate”, che esistono già in alcune parti dell’Europa proprio perché questi tipi di eventi climatici sono sempre più ricorrenti. Un modo intelligente di affrontare i problemi legati ai cambiamenti climatici dal punto di vista urbanistico: un approccio agli eventi naturali “adattandosi” e non “contrapponendosi”. Un sistema idrico integrato, che veda la realizzazione di nuove dighe (la Sardegna ha questa potenzialità) significa anche affrontare la siccità futura in modo intelligente, prevenendone gli effetti deleteri certi sulla nostra vita e la possibilità di nuove centrali di produzione di energia pulita non trascurabile, che aggiunge altri contributi al mix energetico indispensabile. Le centrali idroelettriche sono anch’esse un accumulo energetico.

     In ultimo cinque considerazioni sulla strategia che sintetizzano alcuni concetti già espressi:

  1. se abbiamo in testa il nostro progetto di politica industriale possiamo valutare in maniera intelligente e congrua quanta energia da fonti rinnovabili con accumulo produrre. Possiamo anche produrne di più di quanto strettamente necessaria alla Sardegna (una parte consistente servirà per gli elettrolizzatori, necessari per avere idrogeno verde) se siamo adeguatamente interconnessi alla rete nazionale e la nostra rete interna viene adeguata. Perché non possiamo fornire agli altri nostri connazionali una nostra risorsa in un sistema di reciprocità? Dobbiamo essere razionali e non andare dietro ai populismi di vario tipo;
  2. la sfida della Transizione Ecologica la si vince, come già scritto, se avremo la capacità di coinvolgere non solo i “buoni”, ma anche i “cattivi”. Dovremo convincere anche questi ultimi che è possibile mettere in campo un progetto valido dal punto di vista sociale, culturale ed economico. La crisi climatica continua a inasprire disuguaglianze preesistenti. Lo evidenzia un nuovo report di Oxfam rilasciato il 7 giugno sul costo del cambiamento climatico e la sua diseguale distribuzione. Il numero di disastri nel 2021 è stato significativamente superiore rispetto alla media del periodo 2001-2020, pari a 357 eventi ogni anno. Un aumento considerevole, che prelude a una nuova era di crisi climatica.

Ma gli eventi estremi sono anche un danno economico. 252,1 miliardi di dollari, i costi causati dagli eventi climatici estremi, secondo le stime Emdat (2021). Anche in questo caso una cifra più elevata rispetto al periodo 2001-2020, che aveva registrato una media di 153,8 miliardi di dollari l’anno.

  • il principio “chi inquina paga” è stato adottato all’inizio degli anni settanta nelle regolamentazioni ambientali. Comporta che chi produce inquinamento deve sostenerne le spese. C'è ancora molta strada da fare in questo senso, visto che i costi maggiori li devono sostenere i paesi più poveri e meno responsabili del cambiamento climatico e che anche il contributo dei paesi a reddito più elevato è minimo rispetto ai bisogni effettivi;
  • la sfida che abbiamo davanti è una sfida di Democrazia. Quello che coprogettiamo è un modello orizzontale, a energia diffusa, non piramidale (modello piramidale e del fossile eredità del capitalismo), nel quale anche le/i cittadine/i sono consumatori e produttori (prosumers), una Società realmente democratica. Serve un processo culturale forte, perché i cambi di paradigma energetico si sono sempre accompagnati a forti cambiamenti culturali, di comunicazione e di relazione tra gli essere umani;
  • la Transizione Ecologica deve camminare insieme alla Transizione Digitale, perché l’una può consentire una più facile riuscita dell’altra.

Efficienza energetica

     La terza gamba riguarda l’efficienza energetica. Per quanto riguarda la Sardegna, in merito sono utili alcuni numeri. La ripartizione quantitativa dei consumi finali di energia tra il settore elettrico, termico e della mobilità è equilibrato ed è, rispettivamente, circa 1/3, 1/3, 1/3 dei consumi finali totali e risulta che i maggiori responsabili delle emissioni di CO2 sono il settore industriale e il settore della produzione di energia elettrica. Circa il 54% delle emissioni in Sardegna sono associate al comparto della produzione dell’energia elettrica, per cui, per ridurre le emissioni, occorre incidere significativamente su questa componente. La situazione attuale vede un notevole ritardo rispetto agli impegni internazionale ed europei sull’aumento di temperatura tra la situazione preindustriale e la fine di questo secolo (1,5 °K) e il raggiungimento del Net Zero per quanto riguarda le emissioni di sostanze climalteranti come la CO2 al 2050, un ruolo importante ha anche l’efficientamento dei tre settori citati e, in particolare, quello della produzione di energia elettrica.

     In questi ultimi due anni di incentivi per l’efficientamento del domestico sono scoppiati tanti scandali, in particolare sul superbonus e sulle modalità di cessione del credito delle varie forme di incentivazione.

     Per il futuro credo che saranno indispensabili forme di incentivazione dell’efficienza energetica strutturali che non finiscano solo a favorire le banche, ma consentano anche a chi è disagiato di poter fare interventi di efficientamento energetico. Ne trarrebbe beneficio il comparto delle imprese edili, le cittadine, i cittadini e l’ambiente.

La partecipazione di tutti

     La quarta gamba riguarda il fatto che una sfida così importante come la Transizione Ecologica può essere vinta solo con la partecipazione di tutte e di tutti al processo. La discussione su una materia così importante deve portare all'apertura di una stagione nuova di vero dibattito in tutti gli ambiti sociali, in modo che venga finalmente innescato un processo culturale di crescita delle nostre Comunità, che si rendono partecipi delle scelte strategiche necessarie per il governo del territorio regionale, in coerenza con il concetto di sviluppo sostenibile. Per garantire una reale e diffusa partecipazione occorre una “Legge sul Dibattito Pubblico”. Una Legge che deve individuare parametri, indicatori e modalità di svolgimento del dibattito pubblico, che sia in grado di valutare seriamente la reale partecipazione delle Comunità alla co-programmazione e co-progettazione delle scelte strategiche in merito alla Transizione Ecologica. Una legge che può tornare utile anche per altre scelte di tipo strategico.

*) Giampiero Vargiu, ingegnere, è presidente dell’Associazione di promozione sociale Oristano e Oltre.

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