“Berlinguer vita trascorsa, vita vivente” di Susanna Cressati e Simone Siliani

di Giampiero Vargiu.

Il XXI secolo non è iniziato nel migliore dei modi. Avanzano i populisti, i sovranisti, i nazionalisti, la globalizzazione è in crisi così come la Sinistra quasi dappertutto, sulla scena mondiale hanno fatto irruzione Sistemi autoritari come la Cina e la Russia, viviamo la crisi planetaria della Democrazia Rappresentativa, in particolare, dopo l'irruzione di Trump sulla scena mondiale. A questi scenari, in questi primi anni venti del XXI secolo si sono aggiunti varie crisi, come quella climatica, quella finanziaria ed economica nel primo decennio, quella pandemica da coronavirus e la guerra scatenata contro l’Ucraina dalla Russia in questi ultimi anni. Aumentano le disuguaglianze, il mondo balbetta sulla transizione ecologica e su quella digitale, non riesce ad affrontare e risolvere il dramma della migrazione ed è lacerato da tante guerre ed è di questi giorni la notizia del fallimento della Silicon Valley Bank, del quale non si capiscono ancora gli effetti che ci saranno a livello globale.

   Scrive Bauman nel suo saggio “Retrotopia": “Il ventesimo secolo, iniziato con un'utopia futurista, si è chiuso con la nostalgia. Il meccanismo della nostalgia va interpretato come difesa in un periodo contrassegnato da ritmi di vita accelerati e da sconvolgimenti storici. La promessa di ricostruire una casa ideale, con cui molte delle ideologie oggi tanto influenti ci invogliano ad abbandonare il pensiero critico per i legami emotivi. La nostalgia può, però, indurre a confondere la casa vera con quella immaginaria. Questo pericolo va cercato nella versione restauratrice della nostalgia, che caratterizza i risvegli nazionali e nazionalistici in corso in tutto il mondo, dediti alla mitizzazione della storia in chiave antimoderna, attraverso il recupero di simboli e miti nazionali e, talvolta, il baratto di teorie cospiratorie".

    Oggi, il neoliberismo inietta anche la violenza nella politica e la paura nelle nostre vite, il "potere" si rivela sempre più incapace di dimostrare che la linea divisoria che traccia tra violenza legittima e illegittima è davvero attendibile, vincolante, insuperabile. Scrive Rampini nel suo Saggio “Alla mia Sinistra” descrivendo l’affanno del presidente Obama, che aveva fatto sognare il mondo "Stiamo attraversando qualcosa di più serio di un semplice "ciclo negativo" dell'economia. È la Grande Contrazione: questo termine dà l'idea di un disastro che rimpicciolisce tutto il mondo a cui eravamo abituati. L'unico evento storico con cui valgono i paragoni è la Grande Depressione avvenuta negli anni trenta del secolo scorso. A quelle furono date delle risposte di Destra - Mussolini e Hitler - e delle risposte di Sinistra: il New Deal di Franklin Delano Roosevelt negli Stati Uniti, il Fronte Popolare in Francia. Oggi esiste una risposta di sinistra a questa crisi? Non vedo emergere con chiarezza una via d'uscita progressista, equa, rassicurante, al nostro declino. Da nessuna parte al mondo." Da allora Roosevelt ha tradito il suo New Deal, che, dopo aver contribuito dal 1933 al 1937 a risollevare le sorti dell'economia americana e a risolvere il gravissimo disagio sociale, fu abbandonato nel 1937, convinto che gli Stati Uniti d'America fossero usciti definitivamente dalla crisi e che si potesse sfidare il capitalismo sul proprio terreno, cedendo ad alcuni principi del liberismo, salvo vedere riprecipitare il proprio paese in un'altra crisi, almeno fino all'entrata nella seconda guerra mondiale.

    La Sinistra mondiale, anche successivamente, dopo i primi successi di politica keynesiana, ha fatto così in tutta Europa, sia prima che dopo la caduta del muro di Berlino, ci si è convinti che la sfida va condotta assumendo come postulati imprescindibili i due cardini del capitalismo, che la storia recente ha dimostrato essere falsi e cioè che: - la crescita, dopo un prima periodo di aumento della povertà, è in grado, successivamente, di diminuirla e regalare a tutti prosperità; - la crescita, dopo un primo periodo, nel quale aumentano i rifiuti e l'inquinamento e si fanno sentire gli effetti negativi dei cambiamenti climatici, è in grado di fornire all'umanità gli strumenti per invertire questa rotta nefasta.

    È in atto da decenni un fallimento totale su entrambe le questioni citate e la situazione si sta aggravando sempre di più. Eppure, l'Obama di cui parla Rampini è lo stesso che nel 2008, primo Presidente nero, alle primarie, con sapienza letteraria, raccontava la storia, emozionante e evocativa di grandi speranze, del riscatto degli schiavi, con il famoso discorso "lo sussurravano gli schiavi e gli abolizionisti mentre tracciavano il sentiero verso la libertà in una delle loro notti più buie: si, possiamo". Lo stesso Obama dell'affascinante e affabulante discorso di grande apertura al mondo arabo fatto al Cairo. Anche in Italia abbiamo perso di vista che esiste anche quella che Nannicini chiama la "Costituzione emotiva", cioè "quell’insieme di valori, principi e macro obiettivi che, da una parte plasmano l’identità di un partito e dall’altra – servono da interpretatori di senso per capire le politiche che quel partito sta portando avanti."

    In questo presente scoraggiante, l’iniziativa dell’Associazione di Promozione Sociale Oristano e Oltre, condotta dal giornalista Enrico Carta, di presentazione del libro “BERLINGUER VITA TRASCORSA VITA VIVENTE”, scritto da Susanna Cressati e Simone Siliani per l’editore Castevecchi può rappresentare un’occasione per guardare al futuro con l’ottimismo della volontà. Il libro tratta di tanti temi, tra questi l’ambiente culturale e sociale in cui Berlinguer è cresciuto, di come Berlinguer intendeva il partito, della democrazia come valore universale, dei nuovi movimenti e del rinnovamento della politica, di liberazione della donna per cambiare la società, di pace, di giovani, austerità, lavoro, di Europa, di compromesso storico, di questione morale e di visione del futuro di fronte alla rivoluzione tecnologica.

   Tante di queste questioni sono ancora attuali. Lascio all’evento, alla presenza di Susanna Cressati e Simone Siliani, che sarà il 25 marzo prossimo alle 10 in via Canepa 60 a Oristano, nella sala conferenze della Fondazione Enrico Berlinguer, che patrocina l’evento, la discussione sui temi citati. Mi soffermo su alcuni aspetti utili per l’oggi e per il domani. Come scritto nel libro “Enrico Berlinguer è l’unico leader comunista occidentale al quale persone del Ventunesimo secolo, a prescindere dal loro orientamento politico, guardano ancora come a un modello. In tanti possono ispirarsi esplicitamente a lui senza provare alcun imbarazzo e soprattutto senza generare sentimenti di riprovazione. Viene celebrato sui social media, strumenti e reti che lui non ebbe la possibilità di conoscere e nemmeno di intuire. È oggetto di frequentissime citazioni, più o meno a proposito, da parte di esponenti politici, giornalisti, intellettuali. Parlare oggi di Berlinguer non è un puro atto di nostalgia e/o una dimostrazione di incapacità di “entrare” nei problemi dell’oggi e delineare un progetto per XXI secolo, ma mettere in atto uno dei suoi insegnamenti più grandi: utilizzare gli insegnamenti della storia per capire l’oggi e progettare il futuro.

    È emblematica in tal senso la vicenda giovanile, citata nel libro che sarà presentato a Oristano, del pane a Sassari, che fu “un evento, in una città in cui non c’era mai stata un’iniziativa che avesse una partecipazione di massa. Enrico vi partecipò in modo diretto, un elemento qualificante di lotta, di organizzazione sociale attiva e non solo di appartenenza. Gli piacque nell’ottica del movimentismo, mentre c’era una riluttanza delle forme ufficiali partitiche a cedere a questa logica, in Sardegna come del resto in tutta Italia. C’era un bisogno di rappresentatività quasi globale del PCI, per cui i movimenti che nascevano fuori dal suo ambito anche culturalmente disturbavano la dirigenza. Enrico, pur essendo PCI fino in fondo, scelse di partecipare a questa iniziativa che aveva il sapore di essere una cosa molto popolare, motivata da condizioni effettive di emergenza e sofferenza. Fu come se si rifiutasse di ridurre l’attività partitica alla sola amministrazione del Partito stesso. Da qui il suo scarto, che lo distinse dal gruppo dirigente del Partito e rivelò come lui non fosse affatto un burocrate della politica, cosa che non è mai stato, sempre che questa categoria esista. Sentì l’urgenza e il bisogno di questo movimento e pensò che si dovesse portare il Partito dentro questa azione.

   La lotta politica è, certo, fatta di organizzazione ma anche di partecipazione: noi dove stiamo, dov’è il bisogno dei lavoratori? Come possiamo aderire al popolo? Ritroviamo qui una sua idea di popolo che non è solo il popolo comunista; un’attenzione che espresse altre volte nel corso della sua attività per i movimenti, quello per la pace, ad esempio, o per i giovani; un’attenzione a non ossificare l’organizzazione di partito, a non considerarla sufficiente a sé stessa. Enrico era uomo di partito all’ennesima potenza, credeva nel Partito come in Dio, come tutti noi militanti accedeva inconsapevolmente a una “religione di partito” e tuttavia non era totalmente assorbito dalla struttura formale di partito, sapeva bene che l’organizzazione è preminente ma non è tutto e lo ha dimostrato più di una volta nella sua visione complessiva della politica.”

    Questo suo approccio non lo dimenticò mai e, da segretario generale del PCI, dimostrò di conoscere e rispettare il suo popolo. Sapeva che solo attraverso di esso poteva far valere la propria leadership e le proprie strategie a livello nazionale. Nel libro di Cressati e Siliani è scritto “Quel popolo che gli si parava davanti in adunanze oceaniche alla chiusura delle Feste nazionali de «l’Unità» o in manifestazioni tematiche come quella sull’aborto in piazza Santa Croce o quella sulla pace in piazza della Signoria a Firenze era la sua forza. Berlinguer creava con esso un rapporto vero, un’osmosi e talvolta anche una dialettica.”

    Un altro aspetto che mi preme mettere in evidenza è quello sul quale Berlinguer si era soffermato molto nell’intervista che aveva rilasciato a Eugenio Scalfari sul tema dell’identità del PCI, apparsa su «la Repubblica» il 2 agosto 1978: «I passi avanti nell’adeguamento e aggiornamento della nostra linea e condotta politica li abbiamo compiuti non rompendo con il nostro peculiare passato, non separandoci dal nostro retroterra, non recidendo le nostre radici», perché «non si rinnega la storia, né la propria, né quella degli altri. Si cerca di capirla, di superarla, di crescere, di rinnovarsi nella continuità». Questa era sempre stata e sarà fino all’ultimo l’impostazione della politica di Berlinguer: capace di grandi trasformazioni ideologiche e politiche, compiute, come scritto nel libro, “a passo di montagna (e talvolta con qualche brusca accelerazione), e sempre con lo zaino pesante in spalla costituito da tutto il Partito.” A rafforzare la potenza della figura di Berlinguer cito due esempi presenti nel libro di Cressati e Siliani. Due esempi che dimostrano che sarebbe un errore idealizzare Berlinguer, sarebbe come sminuirlo e non vederne l’utilità” per la politica di oggi. Lui stesso, dato il suo carattere schivo e l’attenzione che poneva nella concretezza e nell’esigenza di concentrarsi nella risoluzione dei problemi reali del popolo, non avrebbe gradito il tentativo di collocarlo su un piedistallo.

     Il primo episodio viene raccontato da Maurizio Maggiani nel capitolo “Come Garibaldi”. “Berlinguer era amato dal suo popolo e non solo. Per me era una questione di sensazione, non di conoscenza. Berlinguer era così: le sue parole erano sempre la sua faccia e il suo esempio. Garibaldi, dopo che con sessantaquattromila fucili puntati contro ha consegnato al Re, a Teano, la più grande conquista militare del XIX secolo, viene immediatamente messo, di fatto, agli arresti domiciliari. Scappa, senza dare nell’occhio, va a Londra. Quando arriva a Londra la città si ferma, il porto si ferma, una folla immensa lo festeggia. La regina Vittoria scrive al suo primo ministro Benjamin Disraeli per chiedergli la ragione di questo trionfo. E lui risponde testuale: «Maestà, Giuseppe Garibaldi è oggi l’individuo più potente del mondo. Perché è ciò che dice, dice ciò che fa, fa ciò che è». Puoi dirlo anche di Berlinguer. Questa era la sensazione che comunicava, e quindi era potente. Si può immaginare quanto fosse dura la lotta all’interno del partito per annientare questa potenza. Una battaglia combattuta più dal suo stesso partito che dalla DC.”

    Il secondo episodio lo racconta Tore Cherchi nel capitolo “Sardegna per sempre”. “Berlinguer iniziava i suoi interventi in Sardegna chiamando gli ascoltatori “conterranei” prima ancora che “compagni”. Sottolineava che la Sardegna è il luogo della sua formazione di comunista e mostrava affetto verso la sua terra, diceva proprio «la mia terra». Vorrei però qui ricordare meglio il viaggio del gennaio 1984, di cui ho anche un nitido ricordo personale. Fu un viaggio finalizzato alla preparazione delle elezioni regionali, che vincemmo (ne nacque un governo organico con il Partito Sardo d’Azione recuperato a un rapporto costruttivo con la sinistra, frutto di una politica di dialogo, di convergenza e alleanza) e poi di quelle europee. Un giro di quasi una settimana, preparato minuziosamente, con una esatta conoscenza dei problemi da affrontare. Iniziò con un grande comizio a Cagliari, il 15 gennaio, davanti a una folla enorme radunata nel piazzale antistante il Bastione. Poi di tappa in tappa, a Carbonia, Iglesias, nel bacino minerario, a Oristano, Sassari, Olbia, il segretario incontrò gli operai nelle fabbriche, gli studenti, i contadini e i pastori. Per me, giovanissimo parlamentare che lo accompagnavo, fu una lezione di vita. Succede infatti che in una azienda metallurgica 1.500 operai, che si sono radunati spontaneamente in una grande sala, vengono da me e mi dicono che vogliono sentire un discorso di Enrico Berlinguer. Lui era passato solo per un saluto perché doveva fare un discorso in un’altra fabbrica a Portovesme. Io esito, loro insistono: vogliamo un discorso. Intimidito mi avvicino al segretario e gli spiego la situazione. Alla fine, va a parlare agli operai. Tutto va benissimo, entusiasmo alle stelle. All’indomani Antonino Tatò mi prende da parte e mi dice: «Mi ha detto il segretario di dirti che non sei stato un bravo organizzatore, perché non hai preparato bene questa tappa nella fabbrica. Perché dovevi pensarci prima in modo da preparare l’incontro. E mi ha detto anche di ricordarti che solo i politicanti hanno un discorso pronto per tutte le circostanze». Testuale. Io capii quello che lui voleva dirmi: quelli sono operai di una data fabbrica, hanno i problemi di tutti gli operai d’Italia ma anche problemi e questioni specifiche. Bisogna rispettarli, bisogna rispettare ogni persona, ogni gruppo. Questa grande lezione di moralità politica e di stile di direzione mi ha fatto comprendere una delle ragioni profonde per cui cittadini e cittadine si fidavano di lui: perché erano rispettati. E mi ha fatto anche capire la differenza tra Enrico Berlinguer e altri tipi di dirigenti, di altre generazioni e di altri partiti, che ho conosciuto poi, dirigenti che arrivano in Sardegna, pretendono in una giornata di fare un incontro a Olbia il mattino, a mezzogiorno sono a Nuoro, poi a Oristano e chiudono a Cagliari, incastrando quattro riunioni nell’arco di una giornata e raccontando lo stesso discorso dovunque. Questa non era la cifra di Enrico Berlinguer né quella di altri grandi dirigenti di quel PCI, profondi conoscitori dei territori, quando l’interscambio tra la segreteria nazionale e la dirigenza locale era molto forte. È una cosa che si è persa.”

    Ecco, sono convinto che ancor di più oggi, con tutte le difficoltà che abbiamo davanti, c'è la necessità di tornare a fare politica, così come la intendeva Berlinguer, c'è bisogno dei Partiti, così come sono concepiti nella Costituzione, che con l'articolo 49, recita "tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". Chiudo con un capoverso del libro di Cressati e Siliani, riportato nell’introduzione. “Come tutti i profeti che si rispettino, Berlinguer non ci propone visioni sempre chiare, nitide e prescrittive, quanto piuttosto intuizioni, lampi, segnali, magari contraddittori. Altre volte ha di fronte tracce più nette di percorsi da seguire sui quali si impegnò, anche testardamente e contro ogni ragionevole possibilità di successo, a guidare non solo la sua parte politica – i comunisti italiani e le classi sociali che a quel partito facevano riferimento – ma anche quella più vasta che riteneva la parte sana, pulita, progressista del Paese. È questo il programma del nostro libro, che si concentra su alcune delle intuizioni e delle linee politiche profetiche di Berlinguer che potrebbero essere utili, con linguaggio ancora suggestivo e convincente, alla politica di oggi: il valore universale della democrazia, i diritti, il lavoro, la qualità dello sviluppo, la giustizia e l’equità, l’interdipendenza globale, la questione morale, l’incontro tra il pensiero della sinistra storica e quello del cattolicesimo democratico. I pensieri lunghi, la visione del futuro.”

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