Sull’economia della Sardegna si addensano nuvole ben più nere di quelle che abbiamo alle spalle

di Gianfranco Atzeni

Mai come quest’anno nella redazione del 29° Rapporto sull’Economia della Sardegna corriamo il rischio di cadere nella sindrome del gooney bird, cioè dell’uccello stupido, riferendosi ad un albatros che atterra guardando indietro. La locuzione si riferisce alla tendenza a guardare troppo ostinatamente al passato, anziché guardare avanti. La crisi sanitaria e la crisi economica che ne è scaturita è stato uno shock inatteso e per tale ragione con effetti particolarmente acuti. Tuttavia, anche con tutte le cautele sugli aspetti sanitari, oggi è opinione abbastanza condivisa che per ciò che riguarda la dimensione economica siamo usciti dai vincoli che la pandemia ha imposto al funzionamento normale del mercato e possiamo guardare avanti.

      Ma all’orizzonte si addensano nuvole ben più nere di quelle che abbiamo alle spalle e guardare avanti mette ancora più ansia. Il conflitto in Europa, dagli esiti ancora molto incerti circa la durata e gli effetti di lungo periodo sull’approvvigionamento di materie prime, ci impone di capire come affrontare i cambiamenti in atto. Le aspettative sull’andamento dell’economia mondiale secondo il World Economic Outlook (aprile 2022) del Fondo Monetario Internazionale (FMI) non sono favorevoli. La crescita della produzione industriale mondiale ha iniziato a rallentare durante il 2021, portandosi a marzo 2022 intorno al 5%, cioè gli stessi livelli della seconda metà del 2020. La crescita dell’indice dei prezzi al consumo nelle economie più avanzate ha ormai superato il 6%. Pertanto, la crescita del PIL dei paesi dell’Europa maggiormente sviluppata viene ora stimata intorno al 2,6%, cioè 1,1 punti percentuali in meno rispetto a 3 mesi fa. Le previsioni di crescita per l’Italia sono del 2,3% nel 2022 e dell’1,7% nel 2023. Il FMI indica ovviamente nella guerra in Ucraina, nell’incremento dei tassi di interesse e la connessa stretta monetaria, nella diminuzione della crescita in Cina le principali cause della frenata delle economie mondiali. La repentina trasmissione degli shock tra le economie mondiali fa emergere chiaramente un elemento: è presto per dichiarare finita la globalizzazione, come alcuni analisti si spingono a preconizzare. Ciò non toglie che siano in atto importanti mutamenti, il principale dei quali è probabilmente il cambiamento climatico e quindi le modificazioni innescate dalle politiche globali indirizzate a mitigarne gli effetti.

      In questo scenario globale è stato steso il 29° Rapporto sull’Economia della Sardegna, che analizza i dati del periodo della pandemia, guardando dunque indietro. Ma per non fare come l’albatros, possiamo utilizzare l’analisi con l’obiettivo di far emergere gli insegnamenti che scaturiscono dalla recente crisi sanitaria ed economica, per comprendere quali cambiamenti sono in atto e quali azioni occorre intraprendere per affrontarli.

Le tasse sono una cosa bellissima

      Una prima indicazione riguarda il ruolo dello Stato nella vita sociale. Se ancora ci fosse bisogno di conferme, possiamo affermare definitivamente che la convinzione che il privato e la sua iniziativa possano supplire alle carenze del pubblico si è dimostrata fallace. La qualità dei servizi pubblici è una componente essenziale della capacità di un sistema sociale ed economico di adattarsi ai cambiamenti. La pandemia ha messo in luce l’importanza di una Sanità pubblica efficiente in grado di rispondere tanto alla quotidianità quanto alle emergenze. Il Servizio Sanitario Nazionale ha dovuto fronteggiare l’emergenza dedicando il personale ai malati di COVID-19, riducendo le prestazioni relative alle altre patologie. Ciò ha accentuato la rinuncia a prestazioni sanitarie anche di natura preventiva di cui si avrebbe bisogno. Purtroppo, ciò non è stato privo di conseguenze. Nell’approfondimento sull’impatto della pandemia sulla dinamica della popolazione, contenuto nel primo capitolo, questo aspetto emerge con chiarezza. L’epidemia ha causato un aumento della mortalità per un insieme di fattori che vanno aldilà della diffusione del virus. Nel momento in cui il COVID-19 ha imposto restrizioni e causato un eccesso di richieste di interventi ospedalieri il sistema sanitario ha mostrato le sue debolezze.

      Nel capitolo 3 è presentata un’ampia disamina sulla qualità dei servizi sanitari in Sardegna e sui livelli essenziali di assistenza (LEA), con alcuni focus sulla capacità del Sistema Sanitario Regionale di rispondere all’emergenza. Se in Italia nel 2020 il 9,6% degli utenti dichiara di aver rinunciato a prestazioni sanitarie pur avendone bisogno, in Sardegna raggiungiamo il primato negativo di regione con il tasso più elevato, con oltre il 15% di rinunce. A fronte di tali disfunzioni nelle prestazioni sanitarie si osserva una spesa sanitaria pro capite superiore a quella del Centro-Nord e del Mezzogiorno, e livelli qualitativi inferiori alla media, evidenza di un certo grado di inefficienza.

      In una regione come la Sardegna la carenza di servizi pubblici nei territori, oltre quelli sanitari, è esacerbata da altre due croniche carenze, quelle dei trasporti pubblici, iniziando da quelli ferroviari, e di servizi per la prima infanzia. Fenomeni come lo spopolamento delle aree interne rurali sono dovuti per una larga parte all’offerta insufficiente di servizi pubblici nei piccoli comuni decentrati. La mobilità ferroviaria dei passeggeri non richiede velocità straordinarie dei treni, ma una capillarità e frequenza delle corse compatibile con la vita lavorativa e sociale. Dove il treno esiste con frequenze regolari, cioè principalmente nella tratta tra Cagliari e Oristano, il pendolarismo ferroviario è una realtà consolidata da anni, con servizi che sono andati migliorando negli anni recenti. A conferma di ciò, la nostra analisi sui trasporti evidenzia un notevole aumento del grado di soddisfazione degli utenti, raggiungendo livelli comparabili con quelli del Centro-Nord.

      Non altrettanto possiamo dire sui servizi per la prima infanzia, che sono la precondizione per lo svolgimento di una normale vita lavorativa di donne e uomini. In Sardegna solo 13 ogni 100 bambini tra 0 e 2 anni utilizza servizi per la prima infanzia. Ciò che preoccupa maggiormente è la bassa diffusione di tali servizi tra i comuni in Sardegna, dove solo un quarto dei comuni ne dispone, contro i 2/3 del Centro-Nord, oltre all’elevata spesa delle famiglie che devono supplire alla scarsa spesa dei comuni.

Piccolo non è più tanto bello

      Nel Rapporto sull’Economia della Sardegna dello scorso anno evidenziammo che sono le imprese di piccola dimensione a soffrire maggiormente durante la crisi. L’analisi dei bilanci delle imprese sarde del 2020 fa emergere chiaramente che nei settori poco colpiti dalla pandemia, come ad esempio l’agroindustria, sono le imprese di grandi dimensioni a crescere molto più della media, contrariamente a quanto accadeva nei periodi precedenti la pandemia. Nel primo capitolo del 29° Rapporto è analizzata la dinamica imprenditoriale, e un dato colpisce particolarmente: l’elevata densità di imprese in Sardegna, sempre costantemente in crescita negli anni, pari a oltre 90 imprese per mille abitanti contro le circa 87 nel resto del Paese. Troppe imprese e troppo piccole? Nell’edizione 2022 del Rapporto sulla competitività dei settori produttivi dell’Istat è analizzata la relazione tra dimensione e capacità di risposta delle imprese nei periodi di crisi. L’Istat analizza i diversi atteggiamenti strategici aziendali adottati per fronteggiare i cambiamenti imposti dalla pandemia. La categoria di imprese che ha subito maggiormente gli effetti della crisi è quella che viene definita di “sofferenza reattiva”, formata da unità produttive che hanno subìto effetti negativi immediati e che hanno adottato strategie di reazione difensive. Non sorprende che tali imprese siano quelle con pochi addetti, livelli di produttività del lavoro più bassi, costo del lavoro e scolarizzazione dei lavoratori inferiore alla media e scarsa propensione all’export. Se sono le imprese marginali a soffrire, saranno i lavoratori più deboli che vi lavorano a subirne maggiormente gli esiti negativi, come abbiamo ampiamente documentato nel Rapporto dello scorso anno. L’analisi del mercato del lavoro contenuta nel secondo capitolo del 29° Rapporto riporta dati incoraggianti riguardo alla capacità di ripresa del mercato del lavoro, con una ripresa delle attivazioni di contratti di lavoro e un aumento della distanza tra attivazioni e cessazioni, con 18mila contratti cessati in meno rispetto alle attivazioni. Tuttavia, con una buona approssimazione possiamo affermare che oltre il 90% della dinamica del mercato del lavoro è costituita da contratti stagionali, stante la elevata correlazione delle attivazioni e cessazioni con la stagionalità del settore turistico.

I rischi della specializzazione produttiva

      Un altro insegnamento della pandemia è che le crisi non colpiscono quasi mai tutti i settori allo stesso modo. Pertanto, una economia è maggiormente a rischio quanto più è specializzata su pochi settori, ancor più se le attività produttive sono caratterizzate da elevata stagionalità, come nel turismo, trasporti, ristorazione e commercio. L’Istat calcola per ogni regione e per i settori di attività economica il grado di specializzazione produttiva, misurata come la quota di ogni settore (in termini di addetti) sul totale delle attività economiche in ogni regione. La Sardegna è la regione, se si escludono le province autonome di Trento e Bolzano, con la più elevata specializzazione relativa nel turismo, la seconda, a pari merito con la Sicilia, per specializzazione nel commercio e nella ristorazione. Se, come ampiamente documentato nel primo capitolo del 29° Rapporto, aggiungiamo che in Sardegna questi settori sono caratterizzati in molti casi da piccole o micro imprese, possiamo immediatamente comprendere perché l’economia regionale sia stata sconvolta dalle restrizioni. Passata la tempesta occorre capire quante di quelle attività produttive sono state in grado di resistere e quanto la loro produttività sia stata compromessa.

     L’analisi del settore turistico, contenuta nel quarto capitolo, può dare una idea dei rischi connessi con una eccessiva specializzazione in un settore, che in più vede le attività concentrate sul segmento balneare. Si veda a questo proposito l’approfondimento sulla densità turistica dei comuni sardi contenuto nel capitolo. Il turismo mondiale, come sappiamo, ha subito una brusca frenata nel 2020. L’Organizzazione Mondiale del Turismo indica per il 2021 un flusso di turisti internazionali ancora molto al di sotto di quello precedente alla pandemia, e prevede un totale recupero dei flussi non prima del 2024. Per la Sardegna il 2021 è stato un anno di parziale recupero, almeno delle presenze di turisti nazionali, mentre le presenze di stranieri sono ancora molto al di sotto del livello raggiunto nel 2019. La stagione 2022 non parte certo sotto buoni auspici, con le presenze di turisti dalla Russia praticamente azzerate, che pur non essendo tra i principali bacini di provenienza dei flussi turistici sardi, rappresenta una nicchia ad alto valore aggiunto per alcune destinazioni in Sardegna. In un momento di grande incertezza la strategia che le imprese potrebbero essere indotte ad adottare è quella di ripiegare in attesa di tempi migliori. Come ampiamente documentato nell’approfondimento sulle misure del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per il turismo, le risorse messe a disposizione per tale settore provano a indicare un’altra strada. Infatti, il PNRR mette a disposizione delle imprese risorse senza precedenti per gli investimenti finalizzati a rinnovare l’offerta turistica, attraverso la riqualificazione delle strutture ricettive nell’ottica di una transizione digitale e ambientale del turismo e della cultura. Come questo si traduca in progetti efficaci dipende dalle capacità delle imprese del settore di ampliare l’offerta e di agire anche in sinergia tra loro.

Disallineamento delle competenze

      Gli ultimi due anni ci hanno ricordato quanto sia importante disporre di capitale umano adeguato soprattutto nei periodi di crisi, ma ancora di più per uscire dal pantano. Come appena richiamato, la capacità progettuale necessaria per sfruttare le risorse del PNRR richiede capacità imprenditoriali, visione e livelli di istruzione adeguati. L’inadeguatezza del capitale umano, o disallineamento formativo, dipende da vari fattori: l’adeguatezza della formazione degli individui, le inefficienze nel mercato del lavoro, la capacità delle imprese di assorbire il lavoro qualificato. Tutto ciò è fortemente condizionato dal cambiamento tecnologico e dalla velocità con cui le attività produttive sono in grado di cogliere le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, con riferimento particolare alla digitalizzazione dei processi produttivi. Il capitolo quinto del 29° Rapporto è dedicato appunto all’analisi dei pilastri fondamentali su cui si basa la competitività di una economia e di un territorio. Se la Commissione Europea stabiliva che entro il 2020 almeno il 40% dei giovani europei doveva possedere una laurea, evidentemente attribuiva a questo obiettivo un ruolo fondamentale quale propulsore di sviluppo di lungo periodo. Mentre tale obiettivo è stato raggiunto a livello comunitario, sia l’Italia, ma ancor più la Sardegna, sono lontane dall’obiettivo. La distanza della Sardegna dalle regioni più sviluppate d’Europa è abissale, essendo 210ma su 231 regioni dell’Europa a 27 membri. Nonostante si tratti di una malattia nazionale, dato che l’Italia è penultima in Europa, seguita solo dalla Romania, ciò non deve costituire per nessuno un alibi. La competitività di un territorio passa anche dalla capacità di attrarre scienziati e ingegneri in zone caratterizzate da agglomerazioni di imprese innovative. La Sardegna condivide con le regioni più periferiche e meno sviluppate d’Europa il primato della minor incidenza di scienziati e ingegneri sulla popolazione attiva. Ciò non deve sorprendere vista la specializzazione produttiva sarda, ma constatare ciò non dovrebbe indurci a rinunciare ad investire in attività ad elevato contenuto di innovazione, magari in pochi agglomerati nelle due aree urbane principali, come discusso nell’analisi sulle startup innovative contenuta nel quinto capitolo.

      Le transizioni gemelle, quella digitale e quella ecologica, alla base del PNRR richiedono nuove competenze e un mercato del lavoro in grado di intermediarle. Ancora una volta la possibilità di invertire la tendenza dipende dalla capacità del settore privato e di quello pubblico di muoversi in sinergia. Ad esempio, recuperare sull’elevato tasso di abbandono scolastico e sulla percentuale di giovani che non studiano né lavorano è un impegno pubblico che si associa alla capacità del settore privato di utilizzare quelle competenze. Così come disporre di ingegneri e scienziati dipende dalla capacità delle imprese di attrarli dal resto dell’Unione, ma anche dal sistema scolastico e universitario regionale di incentivare i giovani ad accumulare le competenze necessarie a perseguire le direttrici di sviluppo indicate dalle politiche pubbliche e dalle strategie del settore privato. Insomma, mai come nel caso delle competenze domanda e offerta sono intrecciate: lo sviluppo dipende dall’abbondanza di competenze, ma questa si ottiene soprattutto dove le opportunità sono maggiori.

Like water off a duck’s back

      Quanto richiamato costituisce il dilemma innescato dal PNRR, come discusso nel policy focus sugli obiettivi strategici del PNRR e le criticità della sua implementazione contenuto nel quinto capitolo. Data la struttura del PNRR è altamente probabile che le risorse messe a bando saranno distribuite attraverso molti interventi, chiamando Regioni, Comuni, altri enti locali e partenariati pubblico-privati ad agire come enti attuatori. La disponibilità di competenze adeguate presso gli enti attuatori è un aspetto cruciale per la riuscita del Piano. Poiché le amministrazioni pubbliche del Meridione dispongono di lavoratori con competenze inferiori a quelle del resto del Paese, e generalmente più anziani, tali differenze potrebbero generare una minore efficacia delle nostre amministrazioni locali nel cogliere le opportunità offerte dalla disponibilità di risorse. Ciò è parzialmente confermato dall’elevato numero di opere pubbliche incompiute, di cui si tratta in uno degli approfondimenti del terzo capitolo. Inoltre, una eccessiva parcellizzazione in un territorio vasto come la Sardegna, caratterizzato da tantissimi piccoli comuni, può compromettere il necessario coordinamento tra i diversi progetti in una visione di sistema. Richiamando ancora una volta una metafora ornitologica, possiamo affermare che il rischio da evitare è quello dell’acqua che scorre sulla schiena dell’anatra.

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Premessa estratta dal 29° Rapporto sull’Economia della Sardegna del CRENoS a cura di Gianfranco Atzeni, Giuliana Caruso e Barbara Dettori, per gentile © Concessione di Arkadia Editore.

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Gianfranco Atzeni. Ricercatore CRENoS dal 1999, è professore associato di Economia Politica presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Sassari. Si occupa di economia applicata alle tematiche del finanziamento degli investimenti e dell’innovazione, delle relazioni tra banche e imprese e di tematiche relative allo sviluppo sostenibile.

CRENoS Economia della Sardegna, 29° Rapporto 2022, Arkadia

https://crenos.unica.it/crenosterritorio/pubblicazioni/economia-della-sardegna-29%C2%B0-rapporto

29° Rapporto 2022 CRENoS è stato elaborato da un gruppo di ricerca coordinato da Gianfranco Atzeni, Giuliana Caruso e Barbara Dettori e formato da: Fabio Angei, Federico Aresu, Silvia Balia, Matteo Bellinzas, Bianca Biagi, Maria Giovanna Brandano, Rinaldo Brau, Andrea Caria, Michela Cordeddu, Luca Deidda, Erica Delugas, Adriana Di Liberto, Marta Meleddu, Marco Nieddu, Enrico Orrù, Sara Pau, Francesco Pigliaru, Adriana Carolina Pinate, Anna Pireddu, Daniela Sonedda, Vania Statzu, Giovanni Sulis, Cristian Usala.

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