Quel palco di Padova
di Chiara Valentini.
“Anche il fratello Giovanni, che Enrico è andato a trovare pochi giorni prima, l'aveva trovato fiducioso, di buon umore. «Aveva giocato a lungo con il piccolo leopardo che lo zoo di Roma ci aveva affidato per qualche settimana, divertendosi all'idea che avessimo in casa una bestia feroce» ricorda.
Berlinguer arriva a Padova giovedì 7 giugno. Non parlava in pubblico nella città veneta da dieci anni, da tempi della battaglia del divorzio. È stanco, ma non più del solito, anche se i figli questa volta l'hanno rimproverato per il calendario massacrante degli impegni. «Papà, non puoi fare questa vita. Hai più di sessant'anni.»
Viene da Genova, dove ha tenuto un comizio la sera prima. Il giorno successivo deve essere a Milano a registrare per Canale 5 un'intervista con il giornalista Peter Nichols. Il giorno dopo ancora a Bologna per un altro comizio, e poi subito a Catania.
Per quest'ultimo spostamento è prevista una novità, l'uso dell'aerotaxi. Berlinguer ha quasi litigato con i suoi collaboratori perché I costo, otto milioni, gli sembrava una spesa fuori luogo. Sono riusciti a convincerlo mostrandogli, conti alla mano, che si sarebbe speso di più con biglietti di linea, pranzi e alberghi per lui e per gli accompagnatori. Superato il tabù, era apparso contento come un ragazzo per il piccolo lusso.
A Padova Berlinguer lavora quasi tutto il pomeriggio al testo del comizio, aiutato da Tonino Tatò. Verso le sei e mezzo comincia a rispondere per iscritto alle domande che gli ha fatto avere Lamberto Sechi. Scrive le prime, poi si deve interrompere: è arrivata come da programma una delegazione di operai della Galileo. Verso le otto e mezzo va a fare una breve visita a Sechi alla redazione del giornale, spiegandogli che non è riuscito a finire l'intervista e che gliela spedirà da Bologna.
Alle nove e mezzo è sul palco di piazza della Frutta. Come è sua abitudine non ha cenato prima del comizio. Salendo i pochi gradini inciampa, ma si riprende subito. È una strana sera fredda e nuvolosa, con il cielo attraversato da lampi. Le migliaia di militanti arrivati da tutto il Veneto rabbrividiscono nei loro abiti estivi. Si stringe nel l'impermeabile anche Lalla Trupia, la bionda responsabile femminile che è candidata alle elezioni europee e che è sul palco assieme al segretario regionale Gianni Pellicani e a un bel ragazzo pallido con la testa riccia, Pietro Folena, il segretario cittadino. Berlinguer, invece, che porta una giacca a quadrettini, ha il primo bottone della camicia slacciato, come se volesse respirare liberamente.
Per mezz'ora tutto va bene. Berlinguer ironizza sul governo, spesso provoca l'applauso. Ma ecco un primo segno di affanno. «Siamo di fronte a un momento pieno di insidie per le istituzioni della Repubblica. Ma è certo che ...» Berlinguer è impallidito, il tono della voce è calato, la frase resta a metà. L'oratore si volta, le spalle al microfono, per prendere un bicchiere d'acqua, ma appena lo beve è colto da colpi di tosse e da conati di vomito. Lo schermo gigante che i comunisti padovani hanno messo dietro il palco rimanda alla piazza l'immagine di una faccia alterata, contratta. «Enrico, Enrico» cominciano a scandire i militanti. Qualcuno urla: «Sta male, fatelo smettere». Ma Berlinguer vuole continuare a ogni costo. Il giorno dopo la televisione italiana trasmetterà le immagini del segretario del Pci che tira avanti eroicamente fino alla conclusione pronunciando frasi ormai smozzicate sulla P2, sugli scandali, sulla democrazia malata. Che si copre il volto con un fazzoletto, che scende quasi inerte le scale del palco sorretto dai suoi compagni.
Comincia la grande emozione collettiva che durerà per quattro giorni, fino alla mattina di lunedì 11 giugno, quando Enrico Berlinguer cessa di vivere.
La vita reale del segretario comunista si interrompe già poco dopo il comizio di Padova. A Tato che lo porta quasi di peso in albergo Berlinguer dice con una voce appannata di essere stanco, di avere un gran bisogno di dormire. «Lo aiutai a mettersi a letto. Istintivamente gli sentii il polso e gli dissi: "Hai un bel polso veloce. Hai proprio un cuore «di ferro". Lui bofonchiò qualcosa e si addormentò. Tato è rassicurato da questo sonno improvviso lo è di meno un medico padovano, il professor Lenci, che era presente al comizio e aveva subito sospettato qualcosa di grave. Lenci, che aspettava fuori della porta della stanza d'albergo, cerca con ogni mezzo di risvegliare Berlinguer. Ma tutto è inutile. «Maledizione, è in coma. Ci vuole un'ambulanza» grida a Tatò. Colpito da un'emorragia cerebrale gravissima, Berlinguer è operato alla Clinica neurologica di Padova poco dopo mezzanotte. L'intervento va avanti fino all'alba ma le condizioni appaiono disperate. Ancor prima che il segretario entri nella camera operatoria l'apparato del Pci si è messo in moto. Alle 23 Tatò ho telefonato a Ugo Pecchioli, uno dei due coordinatori della Segreteria. Pecchioli cerca di rintracciare per telefono tutti i principali dirigenti. Subito dopo, alle 11 e 40, qavverte Giovanni Berlinguer. A mezzanotte meno cinque Tatò richiama per avvertire che la situazione è molto grave. A mezzanotte e mezzo si riunisce d'urgenza la Segreteria ed Pci; è presente anche il presidente della Commissione di controllo Alessandro Natta. Si prende la decisione di far uscire «l'Unità» in edizione straordinaria, si telefona a Francesco Cossiga e a Giuliano Amato per avere a disposizione un aereo. Alle due Pecchioli è in volo con Francasco Ingrao, il medico personale di Berlinguer. Intanto sono già partiti in treno per Padova anche Giovanni. Letizia e i ragazzi.
Nei quattro giorni in cui si consuma la lunga agonia del segretario del Pci la vita politica italiana è come sospesa. Se fino a quel momento Berlinguer era indicato all'opinione pubblica moderata come un reprobo, un pericoloso guastatore, adesso sembra a tutti che in quel lettino di Padova si stia spegnendo un protagonista indispensabile. Già la mattina dopo l'operazione, Sandro Pertini è al capezzale al Berlinguer. «Non è giusto che sia successo» continua a ripetere. Nella camera di rianimazione, davanti al corpo privo di conoscenza che giace immobile, con la testa fasciata, gli aghi delle flebo infilati nelle braccia e due cannule alle narici, passano stravolti compagni e avversari, da Pajetta a Spadolini, da Pietro Ingrao che piange nei corridoi senza nessuna vergogna, a Claudio Martelli, a Luciano Lama. Il papa Giovanni Paolo II manda il vescovo di Padova monsignor Franceschi a chiedere notizie, in molte chiese italiane si prega per la vita del segretario comunista.
A Padova, accompagnato da Gianni De Michelis, arriva anche Bettino Craxi. La visita crea sconcerto nel gruppo familiare dei Berlinguer. Temendo le reazioni negative dei militanti che stazionano nel cortile dell'ospedale, Giovanni fa un breve discorso dicendo che bisogna trattare cortesemente chiunque venga a dimostrare la propria solidarietà. Craxi non viene contestato dalla gente. In compenso gli viene fatto capire che Letizia e i figli non desiderano vederlo. È l'unica comprensibile impuntatura in un comportamento di grande discrezione e sobrietà. Ricorda Sergio Siglienti: «Letizia si dimostrò molto forte. La mattina del 10 giugno, domenica, raccolse attorno a sé i quattro ragazzi per dire che ormai non c'era più speranza. "Vostro padre dovrà certamente morire" furono le sue parole. Lauretta cominciò a piangere e non riuscimmo più a farla smettere».
Poco dopo Letizia, accompagnata da Marco, parte al l'improvviso per Roma. È un viaggio che molti giudicano con stupore, anche perché la versione ufficiale è che il ragazzo deve dare un esame universitario. La verità è che è andata alle Botteghe Oscure per far sapere che il desiderio di Berlinguer è di non essere seppellito nel mausoleo del Verano, come Luigi Longo, come Palmiro Togliatti, come Giorgio Amendola, ma al cimitero di Prima Porta accanto alla tomba di suo padre.Qualcuno si meraviglia, ma non possono esserci obiezioni a questa scelta del segretario di tornare a essere, almeno nella morte, un privato cittadino in un cimitero anonimo di periferia. Quando Letizia e Marco sono di ritorno, alle nove e tre quarti di lunedì 11 giugno, è stato letto da appena cinque minuti un comunicato ufficiale che rende noto che ogni segno di vita è scomparso dal cervello di Enrico Berlinguer.”
Di Chiara Valentini dal libro “Berlinguer” Arnoldo Mondadori Editore SpA 1989
