La Festa nazionale della Repubblica celebrata alla mostra "I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer"
La Festa nazionale della Repubblica, 2 giugno 2025, è stata celebrata alla mostra “I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer” con la lettura, a cura di Michela Atzeni, del discorso del Presidente dell’Assemblea Costituente, Umberto Terracini, fatto immediatamente dopo l’approvazione della Costituzione nella seduta pomeridiana dell’Assemblea, il 22 dicembre 1947.
La Festa della Repubblica è stata onorata come primo atto della manifestazione che ha concluso la mostra su Enrico Berlinguer allestita a Cagliari. Il presidente della Fondazione, Salvatore Cherchi, ha avviato la manifestazione con un breve discorso che ha preso le mosse da Enrico Berlinguer che aveva nella Costituzione, scaturita dalle scelte fatte dal popolo italiano il 2 giugno 1946, la stella polare del suo agire politico. Esemplari al riguardo, sono le sue parole all’indomani del rapimento di Aldo Moro e dell’assassinio degli uomini della scorta, 16 marzo 1978. Sull’Unità scrisse che “Il regime democratico e la Costituzione italiana sono conquiste decisive e irrinunciabili del movimento popolare, delle sue lotte e del suo cammino. ...Guai ad allentare la difesa della Istituzioni repubblicane”.
Il 2 giugno 1946 le cittadine e i cittadini italiani furono convocati per decidere con referendum tra la Monarchia e la Repubblica e per eleggere l’Assemblea Costituente. In un momento così importante per la storia del nostro Paese, il connubio tra una manifestazione di democrazia diretta – tale era il referendum su Monarchia o Repubblica – ed una manifestazione di democrazia rappresentativa – tale era l’elezione dell’Assemblea Costituente – consentì di affrontare scelte di rilievo capitale in un clima certamente carico di emozioni e di tensioni ma in modo sostanzialmente ordinato e costruttivo. Merito delle donne e degli uomini di grande spessore politico, che guidarono l’Italia in quel delicato tornante storico. Fra queste personalità, richiamo Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio, che con fermezza e saggezza sovraintese alla radicale trasformazione dell’assetto istituzionale dell’Italia.
Il due giugno 1946 le donne parteciparono per la prima volta ad un voto politico; con un decreto del 10 marzo avevano acquisito il diritto di elettorato attivo e passivo e già avevano preso parte alle prime elezioni amministrative del dopo guerra.
Gli italiani scelsero la Repubblica punendo la monarchia che aveva voluto l’ascesa del fascismo, le leggi sulla razza, la guerra. Elessero l’Assemblea Costituente che lavorò intensamente e, circa 18 mesi dopo l’insediamento, votò la Costituzione repubblicana. Il Presidente della Commissione costituzionale, Meuccio Ruini, consegnò all’Assemblea il testo nella seduta pomeridiana del 22 dicembre 1947 accompagnandolo con un discorso. Il Presidente dell’Assemblea, Umberto Terracini, comunista condannato dal fascismo a 22 anni e 9 mesi di carcere, mise il testo in votazione a scrutinio segreto. Numerati i voti, il Presidente proclamò il risultato storico: Presenti e votanti 515. Maggioranza 258. Voti favorevoli 453. Voti contrari 62. L’Assemblea approva. Il verbale stenografico registra: L’Assemblea si leva in piedi – Vivissimi, generali, prolungati applausi cui si associano i giornalisti delle tribune della stampa – Si grida: Viva la Repubblica! – Nuovi prolungati applausi.
Subito dopo, il Presidente Terracini pronunciò un breve ed intenso discorso e diede lettura del messaggio del Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola.
La lettura del discorso di Umberto Terracini è stata affidata all’attrice Michela Atzeni, donna di grande impegno civile e valente e affermata professionista. Si riporta il testo accolto con intensa partecipazione dal pubblico presente alla manifestazione. (t.c.)
" Onorevoli colleghi! E’ con un senso di nuova e profonda commozione che ho pronunciato or ora la formula abituale con la quale, da questo seggio, nei mesi passati ho, cento e cento volte, annunciato all’Assemblea il risultato delle votazioni. Di tutte queste, delle più combattute e delle più tranquille, di quelle che videro riuniti in un solo consenso tutti i settori e delle altre in cui il margine di maggioranza oscillò sull’unita; di tutti questi atti di volontà che, giorno per giorno, vennero svolgendosi, con un legame non sempre immediatamente conseguente - in riflesso di situazioni mutevoli non solo nell'Aula, ma anche nel Paese - quest'ultimo ha riassunto il significato e gli intenti, affermandoli definitivamente e senza eccezione come legge fondamentale di tutto il popolo italiano.
Ed io credo di potere avvertire attorno a noi, oggi, di questo popolo l'interesse fervido ed il plauso consapevole e sodisfatto. Si può ora dirlo; vi e stato un momento, dopo i primi accesi entusiasmi, nutriti forse di attese non commisurate alle condizioni storicamente maturate ed in loro reazione, vi è stato un momento nel quale come una parete di indifferenza minacciava di levarsi fra questo consesso e le masse popolari. E uomini e gruppi, già ricacciati al margine della nostra società nazionale dalla prorompente libertà - detriti del regime crollato o torbidi avventurieri di ogni congiuntura (Applausi) - alacremente, e forse godendo troppa impunità, si erano dati ad approfondire il distacco, ricoprendo di contumelie, di calunnie, di accuse e di sospetti questo istituto, emblema e cuore della restaurata democrazia. (Vivi applausi).
Onorevoli deputati, è col nostro lavoro, intenso e ordinate, e con lo spettacolo ad ogni giorno da noi offertogli della nostra metodica, instancabile applicazione al compito affidatoci, che noi ci siamo in fine conquistati la simpatia e la fiducia del popolo italiano. II quale, nelle sue distrette come nelle sue gioie, sempre più e venuto volgendosi all'Assemblea Costituente come a naturale delegata ed interprete e realizzatrice del suo pensiero e delle sue aspirazioni. E le centinaia, le migliaia di messaggi di protesta, di approvazione, di denuncia, di richieste giunti alla Presidenza nel corso dei diciotto mesi di vita della Costituente, testimoniano del crescente spontaneo affermarsi della sua autorità, come Assemblea rappresentativa. E questo un prezioso retaggio morale che noi lasciamo alle future Camere legislative della Repubblica.
Ho parlato di lavoro instancabile. Ne fanno fede le 347 sedute a cui ci convocammo delle quali 170 esclusivamente costituzionali; i 1663 emendamenti che furono presentati sui 140 articoli del progetto di Costituzione, dei quali 292 approvati, 314 respinti, 1057 ritirati od assorbiti; i 1090 interventi in discussione da parte di 275 oratori; i 44 appelli nominali ed i 109 scrutini segreti; i 40 ordini del giorno votati; gli 828 schemi di provvedimenti legislativi trasmessi dal Governo all'esame delle Commissioni permanenti ed i 61 disegni di legge deferiti all'Assemblea; le 23 mozioni presentate, delle quali 7 svolte; le 166 interpellanze di cui 22 discusse; le 1409 interrogazioni, 492 delle quali trattate in seduta, più le 2161 con domanda di risposta scritta, che furono sodisfatte per oltre tre quarti dai rispettivi Dicasteri.
Lavoro instancabile; sta bene. Ma anche lavoro completo? Alla stregua del mandato conferitoci dalla nostra legge istitutiva, sì. Noi consegniamo oggi, a chi ci elesse il 2 giugno, la Costituzione; noi abbiamo assolto il compito amarissimo di dare avallo ai patti di pace che hanno chiuso ufficialmente l’ultimo tragico e rovinoso capitolo del ventennio di umiliazioni e di colpe (Applausi); e, con le leggi elettorali, stiamo apprestando il ponte di passaggio, da questo periodo ancora anormale, ad una normalità di reggimento politico del Paese nel quale competa ad ogni organo costituzionale il compito che gli è proprio ed esclusivo: di fare le leggi, al Parlamento; al Governo di applicarle; ed alla Magistratura di controllarne la retta osservanza .
Ma, con la Costituzione, questa Assemblea ha inserito nella struttura dello Stato repubblicano altri organi, ignoti al passato sistema, suggeriti a noi dall'esperienza dolorosa o dettati dalla evoluzione della vita sociale ed economica del Paese. Tale la Corte delle garanzie costituzionali, sancita a difesa dei diritti e delle libertà fondamentali, ma non a preclusione di progressi ulteriori del popolo italiano verso una sempre maggiore dignità dell'uomo, del cittadino, del lavoratore. Tale il Consiglio nazionale della economia e del lavoro, che - rimuovendo gli ostacoli dovuti a incomprensione o ad ignoranza delle altrui esigenze - eviterà le battaglie non giustificate, disperditrici di preziose energie, dando alle altre, necessarie invece ed irreprimibili in ogni corpo sociale che abbia vita fervida e sana, consapevolezza di intenti e idoneità di mezzi.
Ma forse, sì, non taciamolo, onorevoli colleghi, molta parte del popolo italiano avrebbe voluto dall'Assemblea Costituente qualcos’altro ancora. I più miseri, coloro che conoscono la vana attesa estenuante di un lavoro in cui prodigare le proprie forze creatrici e da cui trarre i mezzi di vita; coloro che, avendo lavorato per un 'intera vita, fatti inabili dall'età, dalla fatica, dalle privazioni ancora inutilmente aspettano dalla solidarietà nazionale una modesta garanzia contro il bisogno; coloro che frustano i loro giorni in una fatica senza prospettiva, chiudendo ad ogni sera un bilancio senza residui, utensili pensanti e dotati d'anima di un qualche gelido mostruoso apparato meccanico, o forze brute di lavoro su terre estranee -e perciò stesso ostili: essi si attendevano tutti, che l'Assemblea esaudisse le loro ardenti aspirazioni, memori come erano di parole proclamate e riecheggiate. (Approvazioni).
Noi lo sappiamo, oggi, che ciò avrebbe superato le nostre possibilità. Ma noi sappiamo di avere posto, nella Costituzione, altre parole che impegnano inderogabilmente la Repubblica a non ignorare più. La Costituzione postula, senza equivoci, le riforme che il popolo italiano, in composta fiducia, rivendica. Mancare all'impegno sarebbe nello stesso tempo violare la Costituzione e compromettere, forse definitivamente, l'avvenire della Nazione italiana. (Vivissimi, generali applausi).
Onorevoli colleghi, ieri sera, quasi a suggello simbolico apposto alla Carta costituzionale, voi avete votato un ordine de! giorno col quale raccomandate e sollecitate dal Presidente della Repubblica un atto generoso di clemenza e di perdono.
Già al suo primo sorgere, la Repubblica volle stendere le sue mani indulgenti e volgere il suo sguardo benigno e sereno verso tanti, che pure non avevano esitato a straziare la Patria italiana, ad allearsi con i suoi nemici, a colpirne i figli più eroici. II rinnovato gesto di amistà, del quale vi siete fatti promotori, vuole oggi esprimere lo spirito che ha informato i nostri lavori, in ognuno di noi, su qualunque banco si sedesse, a qualunque ideologia ci si richiami. L'Assemblea ha pensato e redatto la Costituzione come un solenne patto di amicizia e fraternita di tutto il popolo italiano, cui essa lo affida perché se ne faccia custode severo e disciplinato realizzatore. (Approvazioni). E noi stessi, onorevoli deputati, colleghi cari e fedeli di lunghe e degne fatiche, conclusa la nostra maggiore opera, dopa avere fatta la legge, diveniamone i più fedeli e rigidi servitori. (Approvazioni). Cittadini fra i cittadini, sia pure per breve tempo, traduciamo nelle nostre azioni, le maggiori e le più modeste, quegli ideali che, interpretando il voto delle larghe masse popolari e lavoratrici, abbiamo voluto incidere nella legge fondamentale della Repubblica.
Con voi m’inchino reverente alla memoria di quelli che, cadendo nella lotta contra il fascismo e contro i tedeschi, pagarono per tutto ii popolo italiano il tragico e generoso prezzo di sangue per la nostra libertà e per la nostra indipendenza (Vivissimi, generali applausi); con voi inneggio ai tempi nuovi cui, col nostro voto, abbiamo aperto la strada per un loro legittimo affermarsi.
Viva la Repubblica democratica italiana, libera, pacifica ed indipendente
(Vivissimi, generali, prolungati applausi - Si grida: Viva la Repubblica! - Viva il Presidente Terracini! Nuovi vivissimi, generali applausi).
In quest'ora così solenne della nostra storia non poteva mancare a noi ed al popolo italiano la parola alta, serena, saggia del Presidente della Repubblica, Enrico De Nicola, il quale ha seguito ed illuminato la nostra fatica, vigile ad ogni passo lungo la strada che condurrà la Repubblica dall'abisso in cui sorse fino alla posizione che le compete di Stato libero, e rispettato nel mondo.
Do lettura del messaggio di Enrico De Nicola:
Roma, 22 dicembre 1947 -· ore 18,-30.
,, La ringrazio vivamente, illustre Presidente, di avermi comunicato con Cortese sollecitudine l'approvazione della Costituzione della Repubblica italiana.
" II mio pensiero, reverente e devoto, si rivolge; in questo momento di sincera commozione, all'Assemblea Costituente, che - sotto la Sua incomparabile e indimenticabile Presidenza – ha compiuto un lavoro di cui gli storici daranno certamente un giudizio sereno, che onorerà il nostro Paese, per la profondità delle indagini compiute, per l'altezza dei dibattiti svoltisi, per lo zelo coscienzioso costantemente osservato nella ricerca delle soluzioni più democratiche e nella formulazione rigorosamente tecnica dei principi fondamentali e delle specifiche norme costituzionali - e all'Italia nostra, amata e martoriata, che dalle sventure sofferte e dai sacrifizii affrontati, saprà trarre ancora una volta, nella concordia degli intenti e delle opere dei suoi figli, le energie necessarie per il suo sicuro avvenire, offrendo al mondo un nuovo esempio di eroiche virtù civili e un nuovo incitamento al progresso sociale ,,.
(Vivissimi, generali, prolungati applausi, cui si associa ii pubblico delle tribune)."
Nella foto Michela Atzeni
Foto di Gabriele Calvisi
