Il compagno Enrico e la nostalgia de Su Partidu

di Luisa Sassu

Il Partito era presente nella nostra vita quotidiana. Aveva le sembianze dell’impegno totale che babbo dedicava al lavoro per mantenere la famiglia e alla generosa militanza politica in quel luogo che egli chiamava, semplicemente, Su Partidu.

   Su Partidu era uno di noi, seppure molto più grande degli spazi domestici che lo ospitavano.

   Per una bambina curiosa, affascinata dalle parole e dal piacere di combinarle insieme nei “componimenti” che si facevano a scuola o nei comizi immaginari in cui bastava una seggiola su cui salire per “parlare ai compagni”, il partito era una fonte inesauribile di significati, un vero e proprio patrimonio semantico: il lavoro, i lavoratori, i poveri, la povertà, la dignità, la giustizia, l’onestà, la solidarietà, i compagni, le compagne. E poi c’erano i padroni, gli sfruttatori, i fascisti, i codardi. Associavo inevitabilmente i significati belli alle mani e al volto di babbo, mentre ai significati brutti non riuscivo a dare alcuna fisionomia, nonostante la televisione iniziasse a fornirmi qualche indizio.  Sì, sono stata una bambina fortunata: avevo un approdo sicuro per quella che sarebbe stata la trama del mio impegno politico e civile, mentre ho potuto attendere qualche anno per dare forma, senza troppe paure infantili, all’esatto opposto di quella trama.

   L’adolescenza mi vide varcare la soglia della FGCI (Federazione Giovani Comunisti Italiani); iniziavo a studiare la Costituzione, a leggere molti libri, a conoscere l’ebbrezza di qualche campagna elettorale, a parlare e sentir parlare di politica nelle riunioni in sezione e nelle assemblee a scuola. E avevamo un Segretario: Enrico, che parlava un po’ come noi sardi, scandendo bene le parole e i concetti e dimostrando che, qualunque cosa accadesse, il partito c’era, aveva le risposte, le analisi, le proposte.

   Ricordo, in particolare, il golpe in Cile e ricordo come il nostro segretario, si fece carico di quella terribile vicenda: mi rimase impresso il suo volto, la sua postura mentre ne parlava, immaginai quel peso sulle sue spalle come un peso umano e non soltanto politico. E capii che la politica, quella capace di resistere alle insidie del potere, deve sempre esprimere umanità.    

   I processi di maturazione politica di quei ricchi e tormentati anni ‘70 mi portarono fuori dal partito. Vicina, ma svincolata dai rigori della militanza, dal vincolo della tessera (perché la tessera non era un oggetto qualunque e ancora oggi, per me, la tessera non è un oggetto qualunque).

    Il femminismo, le sue istanze, le sue teorie e le sue pratiche politiche mi consegnarono uno straordinario bagaglio di dubbi, di severo senso critico e di conoscenze. Eppure, Enrico restava il mio segretario, non potevo fare a meno di seguirlo, di condividere la profondità delle sue analisi, di coglierne il solido ancoraggio ai valori che mi avevano fatto diventare la ragazza che ero in quegli anni e la donna che sono ancora oggi.

   Andare al comizio che tenne a Cagliari, nel gennaio 1984, fu per me una cosa tanto naturale quanto emozionante. Lo vidi da vicino e capii che sì, lui era ancora il mio segretario e aveva le stesse mani e lo stesso volto di babbo. Come non volergli bene?

   Le immagini del suo ultimo comizio a Padova, l’ansia per la sua vita sospesa e, infine, la sua morte, riunirono la grande famiglia del partito comunista italiano in un irripetibile rito di appartenenza. Il partito era uno di noi, come sentivo quando ero bambina. Votai PCI finché il PCI resistette al dissolvimento che gli fu imposto, cui fece seguito il dissolvimento degli altri partiti, l’ubriacatura per il sistema elettorale maggioritario e l’erosione della rappresentanza politica come l’avevamo conosciuta.

   Oggi ho soltanto due tessere, quella della CGIL e quella dell’ANPI, e nella Costituzione trovo l’unica piattaforma politica in grado di contenere la storia, il presente e il futuro dell’eredità che Enrico Berlinguer e altri statisti come lui volevano lasciarci.

    Poi, certo, Enrico era più che un segretario, era un compagno.

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Luisa Sassu, nata a Mores, si trasferisce a Cagliari nel 1979 per gli studi universitari e vi risiede da allora. E’ stata dirigente della CGIL; assessora al Comune di Cagliari dal giugno del 2011 al luglio del 2013. Attualmente è dirigente dell’ANPI Provinciale di Cagliari. Frequenta le scuole per parlare con le ragazze e i ragazzi delle donne della Resistenza, delle Madri della Costituzione e degli itinerari della democrazia.

Manifestazione con Enrico Berlinguer il 15 gennaio 1984 a Cagliari.  ©Franco Sotgiu, Cagliari, 1984

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