Giovanni Dettori, poeta
di Natalino Piras.
È morto oggi, 27 dicembre 2025, Giovanni Dettori, uno dei più importanti poeti contemporanei. Aveva 89 anni. Eravamo amici. Pubblico qui una pagina che gli ho dedicato nella Nuova Sardegna, 6 marzo 2006, ripresa poi nella Grande Enciclopedia della Sardegna, 2007.
Giovanni Dettori, bittese, classe 1936, è il poeta delle erranze. Sono una costante. “Migrazioni, torpori, da morte ad altra morte, errando sempre, peregrinando sempre, verso il paese di Mai-Dove”. A volte questo Mai-Uve diventa Mai Più o Mai Oltre. Giovanni Dettori è una delle nostre voci poetiche più autorevoli. Non è uno sconosciuto. Nel 1994 ha vinto il premio Dessì con il libro “Amarante”. A Nuoro lo ricordano ancora studente, negli anni Sessanta, già poeta di migrazioni, chiamato a insegnare filosofia nelle magistrali dal leggendario professor Gavino Pau. Le poesie le scriveva su un ciclostilato anche questo consegnato al mito, “Arcobaleno”. Parlano di gente in attesa e in partenza dalla stazione di Macomer, per tanti altrove nel nord dell’Italia e dell’Europa. Ancora poesie di Juanne ‘e Jogli ‘e Doddi, più semplicemente “tziu Doddi” come lo chiamano a Bitti, ci sono nella rivista “Ichnusa”, sotto il titolo “In questo tempo”. Descrivono povertà e abbandoni. In una di queste poesie, ambientata in una sezione del Partito Comunista, c’è chi gira faccia al muro il ritratto di Gramsci perché non veda fino a che punto è arrivata la disperante condizione di tanti.
Poi, anche Giovanni Dettori partì. È stato per lungo tempo direttore della Biblioteca di Scienze Politiche, nell’Università di Torino. Ha scritto un ritratto affettuoso e agro del compaesano Vranziscu Albergoni, quando questi andò in pensione da bibliotecario della Fondazione Einaudi. Poeta in proprio, Giovanni Dettori è anche traduttore e saggista. Sa essere un bravo raccontatore di storie, radicate nelle latitudini paesane. Ha collaborato a diverse riviste, una per tutte “Thélema” che si occupava di letteratura e arte. Recentemente Dettori è stata scoperto in Francia, al festival di poesia “Voix de la Méditerranée” a Lodève, in Linguadoca. Compare nel libro a più voci “L’Heure Injuste” pubblicato l’anno scorso dalle edizioni “la passe du vent”, le stesse, sempre sul finire del 2005, che hanno dato alle stampe una “Antologie personelle”, dal 1986 al 2004, di Giovanni Dettori: “A varia luna errando, Au gré des lunes errant”. Il traduttore dall’italiano è Marc Porcu, sardo nato in Tunisia nel 1953. Le opere antologizzate sono “Canto per un capro”, poema da Giovanni scritto dopo la morte del figlio adolescente Gianluca, “Amarante” e alcune altre cose inedite oppure riprese da “Arcobaleno” e “In questo tempo”. Il poeta chiama “Mare interno” l’ultima parte divisa in sei sezioni. Ciascuna reca in epigrafe una quartina in sardo, quasi tutte varianti del classico “d’ondzi dìe nos morìmus, in su mòrrer no pessàmus”, le stesse parole di chiusura di questa antologia dell’erranza. Dice Leandro Muoni in postfazione che Dettori riesce a rendere più che altri il “concordo-discordo tra varie espressioni linguistiche”. Il poeta, uomo dal sapere enciclopedico, canta il proprio e altrui migrare-errare. Nel mare interno e negli oceani. Ripropone terribili frammenti di memoria come quelli della sua adolescenza quando dovette andarsene di casa una prima volta. In quella casa “con l’albero di fico addosso al pozzo” era entrata la disgrazia. Un muro a cui lavorava il padre, era crollato, “sradicato dal vento che ringhia”. Era precipitato uccidendolo “addosso al bracciante che rientrava dalla vigna”. Il lutto fu nella casa del morto e in quella dei Dettori, “tre notti di vento attorno al braciere senza sonno, nel grave odore del carbone di lùla, e tazze di vino pesante alternate, all’amaro di un caffè fatto d’orzo”. Nell’impaginazione di “A varia luna errando”, il poeta aveva già sciolto i grumi della terribile memoria nella canzone per Sergio Atzeni, lo scrittore tragicamente perito in mare nel 1995. Atzeni conobbe Giovanni quando passò a Torino, “fratello di passo uccello migratore”. Giovanni chiamava affettuosamente Sergio “campidanesu iscurtu”. In epigrafe al canto, il portoghese “assim vivi, assim morri” , preso da Pessoa, è musicalmente interato nel sardo, appunto “donzi die nos morimus e i’ sa morte non pessamus”. Il poeta conosce diverse facce di nostra sorore morte. Così come nell’edizione del 1986 di “Canto per un capro” anche questa antologia apre con un attitu: “mòrtu maméli asproni, mòrtu zosèppe andrìa, mama kàntu s-es trista”. Poi: “…amico, mio fratello minore figlio, negato possibile, di mondi di-versi, effimero eterno, messe di sventura, messe tutta pianto”. Il testo francese a fronte traduce l’italiano di Dettori e quello dell’epigrafe tratta dal poema dell’antica Mesopotamia “Gilgamesh” dove si parla dell’irreparabile perdita di Enkidu. La traduzione francese lascia però così come sono le parole “Tragoidia”, appunto canto del capro, in greco, e “Attitu”. Intraducibili anche in nota dove pure si canta “mère comme tu es triste”. Sempre in nota vengono tradotte le altre quartine-epigrafe in lingua sarda. Sintomatica la presenza del vento. Le Vent souffle où il veut: il Vento, il Paraclito, lo Spirito soffia dove vuole. “Vìrde àrbor ‘e vèntu” fu la “Tragoidia” di Giovanni adattata a film televisivo, per Rai tre, e piece teatrale di Mario Faticoni, oltre che ispirare opere e cose di altri autori e artisti. La coperta di questo “Au gré des lu nes errant” riporta un’opera di Nico Orunesu, amico di Giovanni, una lavorazione su juta di temi e visioni di una comune land. Migrazioni e carene, corpo e anima di emigranti sono nel soffiare del vento. Nel segno della continuità poetica di due lingue-due anime, come dice Michelangelo Pira in “Sos sinnos”, qui più lingue e più anime. “Dentro la poesia di Giovanni Dettori”, scrive Muoni, “sono presenti tutti i grandi temi della poesia italiana ed europea del Novecento: il tema della dignità dell’uomo, dello sradicamento, del viaggio, della memoria, della libertà, della morte, del destino; insomma, del senso dell’esistenza”. Qui ci sono tanti coros de iscuricore, cuori di tenebra. Tra oralità e scrittura, Dettori è poeta delle scarnificazioni: il dolore che più tremendo non si può di “Canto per un capro”, dolore del disterro, che vuol dire lontano dalla terra, e dolore della perdita irrecuperabile. Altrove è il luogo-tempo del ritorno a farsi sentire, successivo alla desertificazione e alla discesa agli inferi. I ritorni non sono una risalita vera e propria. Quanto piuttosto la perdita della sofferenza dentro le correnti e i colori del vento. Ne viene fuori un tempo non immemore delle case, delle strade, dei riti-miti dell’infanzia. La memoria del sé bambino a sua volta si intera con quella universale di altri luoghi-tempo. Questi possono essere ancora Bitti e il sertão di Guimaraes Rosa, interni di case oppure le vie di Torino, fatte a squadra e scalpello, dove nessuno dei passanti riesce a sapere e capire “la disperazione di un poeta meridionale”, la sua abbagliante cupezza. Il tutto lavorato da parole insieme di sabbia e diamante, rima petrosa a valenza scarnificata e scarnificante. Tutto è avvenuto, tutto continua ad avvenire all’insegna delle migrazioni, delle erranze.
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Giovanni Dettori. Poeta e scrittore. Nato nel 1936 a Bitti, emigrato nel 1966 a Torino. Ha vissuto, fino al 27 dicembre 2025, in una borgata tra le colline sul Po. In Sardegna, ha collaborato a: Ichnusa, La grotta della vipera, Sardegna oggi, Rinascita sarda, Thèlema, Nuoro oggi, l’Unione Sarda. Pubblicazioni: Canto per un capro – Ipotesi su Burkitt, La Salamandra, Milano, 1986. Amarante, Il Maestrale, Nuoro, 1993, “Premio speciale della giuria” al Premio nazionale Giuseppe Dessì del 1994. Lunga ancora la notte, CoSarda, Cagliari, 2001. A varia luna errando, antologia di poesie 1986/2004, traduzione francese da Marc Porcu Augré des lunes errant, La passe du vent, Lione 2005. Una scelta delle sue poesie è stata pubblicata nell’opera collettiva L’Heure In juste, La passe du vent, Lione 2005. Ha curato per Il Maestrale l’edizione delle poesie di Sergio Atzeni e Roberto Concu Serra, 1999. Ha tradotto in italiano una selezione di poeti sardi e curato la prefazione per il libro fotografico Sardinia di Leonard Sussman, 2000, le poesie di Lucia Pinna, 2001 e, insieme a Marcello Fois e Alberto Masala, le poesie di Peppino Mereu, 2004. Nel 2001 ha partecipato al festival di Lodève “Voix de la Méditerranée”. Nel 2003 e 2005 al festival di Lione “La parole ambulante” e, nello stesso anno, al Settembre dei poeti / Cabudanne de sos poetas di Seneghe. Nel giugno 2006 è stato invitato al festival di Algeri “A Front-tiers de poésie”, omaggio al poeta nazionale Djamal Amrani nell’anniversario della sua morte. Ha collaborato al libro Erranti per le lente gallerie smarriti nell’oblio di Gabriele Calvisi e Roberto Deidda, edizioni Isolapalma, settembre 2025. (g.c.)

