Berlinguer in Sardegna, l’attualità delle sue parole, a 40 anni dall’ultimo viaggio

di Giampaolo Meloni *.

Quarant'anni fa il viaggio di Enrico Berlinguer in Sardegna. Dal 15 al 19 gennaio 1984. Una pagina da non dimenticare, che credo sia utile ricordare (attraverso una ricostruzione giornalistica) per la puntualità dell’epoca e l’attualità odierna delle valutazioni politiche che propose sulla condizione dell’isola e che furono registrate con precisione dalle cronache di alcuni dei migliori inviati dei quotidiani La Nuova Sardegna, L'Unione Sarda e L'Unità. «Nel tempo presente ha un senso politico e non solo affettivo, discutere di un leader politico che, amato dalle masse, fa parte della storia nazionale e che, figlio del suo tempo, ha lasciato “pensieri lunghi”, anticipatori di grandi questioni esplose negli anni Novanta e nel ventunesimo secolo», ha scritto nel maggio 2022 Tore Cherchi, presidente della Fondazione Enrico Berlinguer, allora giovane parlamentare, che lo accompagnò nella visita nelle fabbriche. Incontrò operai, studenti, donne, quella comunità che si chiamerebbe popolo sardo. Visitò fabbriche e scuole, trascorse una serata a Oristano, in pizzeria con i ragazzi incontrati poco prima, volle vedere miniere e minatori, parlò con i metalmeccanici nel Sulcis e i chimici a Porto Torres e i lavoratori dell’Anic di Ottana. Non trascurò un angolo della Sardegna, ma non perché fosse la sua terra d’origine e la amasse profondamente, quanto perché la politica, riteneva il segretario del Partito comunista italiano, prende forma nel dialogo costante con le persone che faticano e producono, quelle che non rubano né corrompono. L’onestà era il suo binario etico e la considerava l’ingrediente fondamentale del buongoverno. Ancora oggi la “questione morale” ci accompagna nella triste constatazione di un’incompiuta nei comportamenti di chi affolla senza merito e ragione i luoghi della politica e delle istituzioni.

IL Psd’Az. Quel viaggio ha lasciato tracce profonde in numerose persone che ancora oggi ne custodiscono l’insegnamento e il ricordo. Anche nella politica sarda, nella sinistra che gli era più vicina e nella geografia delle formazioni politiche in quegli anni assai più e meglio marcata di oggi. Ben altrimenti significative e incisive erano le posizioni e il peso sociale e politico del Partito sardo d’Azione, da rendere improbabile il confronto con le dinamiche bottegaie e massoniche che negli ultimi anni hanno generato slavine giudiziarie sul governo della Regione. Camillo Bellieni, Emilio Lussu e Mario Melis (l’avvocato ogliastrino che pochi mesi dopo il viaggio di Berlinguer divenne presidente della Giunta, alla guida di un governo di sinistra che per l’intero mandato tenne insieme le istanze azioniste, i comunisti e i socialisti) sono distanti anni luce dall’appena replicato, con avvallo giudiziario, gruppo dirigente del Psd’Az.

Il popolo. Le parole pronunciate da Enrico Berlinguer in quelle quattro giornate circa trascorse in Sardegna, possono essere ribadite oggi. Su alcuni argomenti appaiono valutazioni delle ultime ore. Suonano premonizioni irrinunciabili. La presidente Alessandra Todde, eletta nelle scorse settimane, la cui sensibilità sardista non confligge con la radice politica del M5S, ha richiamato e fatto proprio il monito di Berlinguer sul rapporto con le persone. Più volte negli appuntamenti della campagna elettorale ha ribadito l’invito a formazioni politiche e candidati a promuovere incontri, formare dalla sorgente dei cittadini il fiume del buongoverno. Tracciando un bilancio del tour nell’isola, Enrico Berlinguer disse all’inviato dell’Unione Sarda Giancarlo Ghirra: «Fa davvero piacere incontrarsi con la propria gente e scoprire che una crisi così grave non fa dilagare rassegnazione e scetticismo ma sprona volontà, alimenta combattività, speranza e fiducia che le cose possano cambiare».

La N.A.T.O.. In quelle giornate si parlava di pace. Tema tutt’altro che occasionale per il leader originario di Sassari, al quale aveva dedicato un lavoro incessante sullo scenario internazionale. La sua intervista a la Repubblica nel giugno del 1976 suscitò l’onda lunga di un dibattito che ebbe risonanza mondiale. «Mi sento al sicuro sotto l’ombrello della Nato», disse a Giampaolo Pansa, al quale rispose serenamente e con il garbo dei grandi e degli umili anche su alcune domande inimmaginabili per il giornalismo genuflesso di oggi e i politici tronfi e arroganti che purtroppo affollano scranni di prestigio istituzionale. C’erano, all’epoca, i missili di Comiso, c’era la forza condizionante e aggressiva del dollaro. L’inviato Filippo Peretti annottava su La Nuova Sardegna di una studentessa, tra i settecento presenti nella palestra del liceo classico De Castro di Oristano, che gli chiedeva un commento su quelle dichiarazioni di otto anni prima. Dopo avere spiegato ragioni e cautele di quel rapporto con gli Usa, Berlinguer rispose senza ipocrisie: «E ci sono i legami che il governo statunitense mantiene con il governo italiano per cercare la fedeltà, che è cosa diversa dalla lealtà».

Gli studenti. L’incontro al De Castro suscitò grande interesse. Berlinguer non fece un intervento, preferì sottoporsi alla valanga di domande degli studenti e restituì grande disponibilità con le risposte. L’Unità uscì con un servizio dello scrittore e giornalista Ugo Baduel dal titolo significativo: «Intervista a parti rovesciate». La serata si concluse in una pizzeria del centro, tutti insieme.

Il lavoro. Berlinguer aveva ben chiari gli scenari futuri, quando a Porto Torres toccò con mano la realtà delle infrastrutture portuali incompiute e i segnali di sofferenza della petrolchimica e avvertì che «l’abbandono, la liquidazione e la disoccupazione avrebbero generato un processo di arretratezza», come annotò Ugo Baduel sull’Unità. Fu in quella occasione, in particolare, che i sardisti vicini alle sofferenze dell’industria chimica gli manifestarono le loro preoccupazioni, denunciarono il rischio del declino ulteriore e sollecitarono impegni. Certo, era una Sardegna diversa, che faceva i conti con le crepe della crisi dell’epoca discendente della Rinascita, dell’industrializzazione, del lavoro che mancava (in quell’anno venne organizzata la marcia per il Lavoro, poi riproposta nel 1992. Il 12 maggio 1984 la marcia iniziata da cinque disoccupati ogliastrini si concluse a Cagliari, attesa dall’allora leader della Cgil Luciano Lama: una giornata di mobilitazione con 40mila persone. Gli iscritti all’ufficio di collocamento nel 1984 erano 130 mila. Le preoccupazioni erano di ben differente consistenza rispetto allo sviluppo di cui la Regione ha saputo parlare nell’ultimo lustro, quasi che l’economia fosse esclusiva materia dei dehors, dei baretti in spiaggia, delle crociere e dei menù per cani a mille euro.

Il razzismo. «Non voglio negare l’esistenza di un razzismo verso i sardi e i meridionali. Ma attenzione al razzismo alla rovescia, quello che induce i sardi a considerare i continentali come dei nemici da combattere», (ancora Baduel) disse ai lavoratori di Porto Torres. Si riferiva alla vignetta di Forattini su Repubblica (la Sardegna con l’orecchio mozzato) ispirata a un sequestro di persona, ma la sua era un’inquietudine profonda e diffusa all’intera società, perché vedeva esposta al rischio del declino tutta la ricchezza dell’isola, «il patrimonio enorme, in parte ignorato, in parte compromesso e mortificato» (parole sue) che occorreva salvare e valorizzare.

L’autonomia. L’economia chiedeva iniezioni di risorse e di strumenti per riprendere fiato e crescere. C’era l’urgenza di un rilancio del Piano di Rinascita. Ma i prezzi pagati negli anni precedenti imponevano tutele per il futuro, anche sul piano delle capacità di governo. Con largo anticipo sul dibattito attuale, Berlinguer sollecitava la necessità di una riforma statutaria, «sono favorevole a rivedere alcune norme, ma non si devono nascondere le responsabilità dei governi democristiani», disse nell’intervista al direttore della Nuova Sardegna Alberto Statera. Riprese l’argomento il 15, parlando alla folla dal Bastione Saint Remy, a Cagliari, come annotò Giorgio Pisano sull’Unione Sarda. Nel servizio dell’inviato Filippo Peretti spiegava poi: «perché non ci sia stravolgimento dell’Autonomia, con la subordinazione dell’Isola alle scelte dei grandi poteri economici nazionali». L’urgenza di sancire un rapporto di pari dignità senza sbavature con lo Stato è all’ordine del giorno. Per dirla con Massimo Dadea (post su Fb, 07/05/’24): «previo coinvolgimento delle forze vive della società sarda, bisogna attivare una interlocuzione forte con lo Stato al fine di riscrivere lo Statuto di Autonomia: un nuovo patto di rango costituzionale. Un patto tra eguali, senza vincoli gerarchici, dove alla Sardegna vengano assicurati più poteri su tutte quelle materie dove più arrogante ed invadente è la presenza dello Stato: servitù militari, paesaggio, ambiente, ruolo internazionale della Sardegna e soprattutto energia».

I bugiardi. Non è un percorso semplice, oggi. Non era una strada facile, allora. La Sardegna era costantemente mobilitata nella difesa dell’occupazione. Le organizzazioni sindacali stavano in costante allerta nel tentativo di arginare colpi di scure sui posti di lavoro e tagli alle risorse finanziarie. Proprio in quei giorni il settore minerario metallurgico e carbonifero vivevano nell’ansia del ridimensionamento. Il 18 gennaio Vindice Lecis intervista il sottosegretario all’Industria Nicola Sanese, democristiano. Il giornalista, già firma autorevole della Nuova Sardegna, non risparmia di fargli notare i tentennamenti che il governo aveva manifestato sulla tutela del “polo” minerario sardo. Ma il sottosegretario conferma con tono deciso: ecco 90 miliardi. Cassa integrazione scongiurata, prospettive di rilancio. Una boccata d’ossigeno. Passano trenta ore e arriva la notizia ferale. Quei «tentennamenti» paventati da Lecis erano quantomai motivati. Il decreto dei 90 miliardi è poco più che una boutade e non arriva sul tavolo del governo. La cassa integrazione alla Carbosulcis e alla Samim restano all’ordine del giorno, è la notizia nel mio resoconto sulla Nuova di sabato 21 gennaio. Nella stessa cronaca sul flop di Roma registrai la reazione immediata della Fulc (sindacato unitario dei minatori e chimici): prosegue e si inasprisce la mobilitazione del territorio. Ci sono anche le donne, le prime minatrici alla Carbosulcis dopo i dolorosi precedenti delle cernitrici tra fine Ottocento e primi del Novecento. Berlinguer sottolinea: «Noi siamo contrari all’emarginazione delle donne nei posti di lavoro». Ancora: «Il Sulcis deve lottare compatto _ incoraggiò poche ore prima nel suo “viaggio dentro la crisi” (come definì il suo incontro di Iglesias con gli amministratori comunali del territorio) _ se vuole vincere la battaglia contro i governi che promettono». È una vertenza corale. Per il Sulcis. Per la Sardegna.

L’arresto. I diritti. L’economia riguarda tutti. Indica e stabilisce le condizioni di una comunità, della società. L’impegno per raggiungere equità e accesso diffuso ai diritti è imponente quanto minimi sono i bisogni. Enrico Berlinguer conosceva bene questi stati d’animo, questo sacrificio. Finì in carcere nel gennaio del 1944 per avere guidato i “moti del pane” in una Sassari che pativa la miseria, come gran parte dell’Italia sprofondata nelle rovine della guerra (ne propone un’accorata e precisa ricostruzione Vindice Lecis nel suo blog Fuoripagina). Scarcerato, Berlinguer parlò il Primo Maggio a Olbia.

L’appuntamento. A quarant’anni dalla morte l’Associazione 25 aprile di Sassari ricorda la figura del grande segretario comunista in un convegno a Sassari il 17 maggio con Alex Hobel e Gavino Angius. Ore 18:00 biblioteca universitaria.

*Giornalista

Foto di Franco Sotgiu. Comizio di Enrico Berlinguer a Cagliari gennaio 1984

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