Quando Berlinguer mi sgridò

di Cosimo Filigheddu

La data? Non ricordo bene, sarà stato poco prima della sua morte, quindi forse il 1984. Ricordo solo che c’era freddo, doveva essere inverno.

Berlinguer visitava le zone industriali della Sardegna e il mio giornale mi inviò al suo seguito. Ricordo la visita a Ottana e il sorriso di quando dopo una faticosa mattinata finalmente gli fu concesso di sedersi a pranzo nella mensa aziendale, circondato da operai che continuavano a rivolgersi a lui sui temi più svariati, dall’industria al territorio e al partito, e lui rispondeva a tutti.

E l’evidente sentirsi a proprio agio in quell’ambiente.

Era la prima volta che metteva piede in quella mensa, ma ne appariva un educato e antico frequentatore. Forse perché Berlinguer era di casa in qualsiasi consesso operaio. Alla faccia degli intellettuali che lo dipingevano quale aristocratico avulso dal popolo, proprio loro che il popolo lo vedevano con distaccato interesse nelle fotografie d’autore e con raccapriccio se per qualche minuto erano costretti a sbarcare dal lussuoso motoscafo su qualche spiaggia affollata.

Quanto mi infastidì, a esempio, quella vignetta gratuita che lo raffigurava in salotto, in altezzosa giacca da camera. Sapevo che lui era l’esatto opposto. Proprio lui che pur così avaro di sorrisi e risate, oltre che il più grande era anche il più amabile e socievole rappresentante della sinistra italiana, l’unico che derogasse alla rigida regola che per essere di sinistra bisogna essere antipatici.

Alla fine di quella giornata inviai il mio articolo al giornale e il giorno dopo seguii Berlinguer nel petrolchimico di Porto Torres.

Fu in una pausa della conferenza organizzata durante la visita dalla sezione di fabbrica del Pci, che Antonio Tatò, responsabile dell’ufficio stampa del partito, si avvicinò e mi disse a bassa voce, accennando a Berlinguer seduto solo in un cantuccio del grande tavolo ormai vuoto: “Il segretario ti vorrebbe parlare”.

Lo conoscevo a malapena, Berlinguer. Ci davamo del lei. Ero un po’ sconcertato per quella riservatezza. E incuriosito, naturalmente. Mi avvicinai e mi invitò a sedere. Aveva una copia della Nuova.

-Ho letto la sua cronaca della giornata a Ottana e vorrei muoverle alcune critiche.

Ero convinto di avere scritto un capolavoro nel quale dipingevo lui al centro di una folla operaia festante, un quadro di Brosdkij in linea con i dettami di Lunacarskij sul realismo socialista. Ma all’improvviso mi sentii molto insicuro, pur con i miei oltre dieci anni di esperienza professionale.

-Mi dispiace se l’articolo non le è piaciuto.

-Non è che non mi sia piaciuto. E’ concettualmente sbagliato. Ma prima di continuare vorrei fare una premessa importante. Io personalmente non ho niente di cui lamentarmi. E’ convinto di questo?

-Se me lo dice…

-Ecco. Io prima di farla chiamare ho parlato con alcuni compagni di Sassari che la conoscono bene. Mi hanno detto che lei accetta le critiche, che anzi le ricerca, che è disposto a mettersi in discussione e nel caso a cambiare idea.

Poco distante c’era Billia Pes che non poteva sentire ma ci guardava di sottecchi ridendo sotto i baffi.

-E’ un bel complimento. Evidentemente sono persone che parlano bene di me alle spalle. In faccia non me lo hanno mai detto.

Fece uno dei suoi bei sorrisi che, mi assicura chi lo ha conosciuto bene, riservava soltanto alle cose che lo facevano sorridere davvero.

-Bene, il fatto che lei lo consideri un complimento è un buon inizio. Quindi, mi dica: qual è secondo lei la notizia della giornata di ieri?

-Lei che incontra gli operai e parla con loro.

-E’ questo l’errore.

-Non capisco.

-La notizia è l’esatto contrario. Sono stati gli operai a parlare con me. E io ho parlato molto poco, se non per sollecitare da loro nuove informazioni e nuove analisi. Nei discorsi pubblici non ho fatto altro che sintetizzare e contestualizzare nella situazione nazionale ciò che poco prima tutti questi compagni mi avevano detto. E lei da giornalista tutto questo avrebbe dovuto coglierlo.

-Cioè che la notizia di queste giornate sono gli operai e non lei.

-Vedo che ci siamo capiti.

-La ringrazio, ne terrò conto.

-Ma badi bene, ci tengo che lei non lo consideri un rimprovero. Dovrei anzi ringraziarla per avermi dato tanto spazio. Ma ritengo più importante che lei faccia capire come la linea del mio partito su argomenti fondamentali quali la crisi dell’industria e i problemi dei territori avviati verso una forzata deindustrializzazione, nasca soprattutto dall’esperienza che la base del Pci e le popolazioni vivono sulla loro pelle.

-Ha ragione. Lo farò.

-E non esiti a scrivere che io in questi giorni sto imparando dagli operai.

-La ringrazio.

-Sono io a ringraziarla. E mi scusi se mi sono permesso.

Capito? Uno come lui, uno dei più grandi capi politici dell’Occidente, mi ringraziava perché ero stato a sentirlo e si scusava per essersi permesso.

Molti anni dopo ebbi a che fare con una sua sorta di successore che si lamentava per come era stato trattato – lui, non gli operai – in un mio articolo. E vi assicuro che lo stile usato dal dirigente in tale occasione fu molto differente.

Comunque non parlai con nessuno di quel colloquio con Enrico Berlinguer e a notte scrissi il pezzo valutando questa volta correttamente la notizia. Mentre andavo via dal giornale, il direttore mi chiamò a gran voce affacciandosi alle scale. Mi disse che l'articolo gli era piaciuto molto. Ed era uno che le lodi non le sprecava.

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Cosimo Filigheddu, nato a Sassari nel 1951, è giornalista dal 1973, scrittore e autore teatrale, autore di diverse opere su Enrico Berlinguer tra cui l’opera teatrale “La Partenza di Enrico” che sarà messa in scena dalla Compagnia Teatro Sassari per la regia di Mario Lubino al Cineteatro Astra di Sassari il 25 maggio 2022,  nell’ambito delle celebrazioni del centenario della nascita di Enrico Berlinguer su incarico del Comune di Sassari.

Opera di ©Igino Panzino
Foto di  ©Angelo Liberati, Cagliari, 2022
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