Qualcuno era Enrico Berlinguer

di Mario Gottardi

“Qualcuno era comunista perché glielo avevano detto.

Qualcuno era comunista perché non gli avevano detto tutto.

Qualcuno era comunista perché prima, prima, prima, era fascista.

Qualcuno era comunista perché aveva capito che la Russia andava piano ma lontano.

Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona”

Giorgio Gaber, Qualcuno era comunista

Cantava Giorgio Gaber. E sì, era proprio una brava persona, Enrico Berlinguer. E forse è per questo che manca così tanto ancora oggi, a quasi quarant’anni dalla sua scomparsa e a cento dalla nascita.

Perché di brave persone, anche a sinistra, non è che ce ne siano così tante (anzi, di sinistra non è che ce ne siano poi così tante, di persone).

E anche su questo, chissà cosa avrebbe detto, il compagno Enrico. Lui, che aveva portato il PCI ai suoi massimi storici: 34,37%, 12.615.650 voti, 228 deputati alla Camera alle elezioni politiche del 1976. Con lui il comunismo “era come l’universo: in espansione”, scrisse molti anni dopo Gaber, Max Collini, voce narrante e autore degli Offlaga Disco Pax.

Ma non lo si rimpiange solo per questi numeri, giganteschi. Lo si rimpiange proprio perché Berlinguer era un gigante sotto tutti i punti di vista.

Solo un gigante poteva, infatti, lanciare un guanto di sfida all’Unione Sovietica sul suo stesso terreno, quello del Comunismo, sfilandosi dalla dottrina sovietica e cercando una via europea al socialismo.

Solo un gigante poteva, infatti, anticipare quella che saranno le cause della disgregazione della cosiddetta “Prima Repubblica”, della germinazione, crescita e implosione della Seconda e il modus operandi della terza.

Vengono i brividi a rileggere queste parole del segretario comunista:

“I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”. La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi”.

Il dramma, anzi, la tragedia, è che non hanno smesso di essere attuali da quel 28 di luglio del 1981, da quando, cioè, Berlinguer le affidò a Eugenio Scalfari per la celebre intervista su La Repubblica.

Solo un gigante, e Berlinguer su questo primeggiava su tutti, poteva interpretare l’attualità in prospettiva storica, e quindi prevederne le conseguenze future, smorzandole. Cosa furono infatti, le parole con cui Berglinguer sancì il distacco da Breznev nel 1969, in quello che è considerato “il più duro discorso mai pronunziato a Mosca da un dirigente straniero” o i tre articoli pubblicati su “Rinascita”, il settimanale del PCI in cui proponeva il “compromesso storico” contro le “avventure reazionarie” di stampo cileno se non essere completamente padroni del presente e della storia?

Non sbagliò nulla “il più amato” come era appellato per distinguerlo da Togliatti, “il migliore”? Sì, certo che sbagliò. Come tutti sbagliò. E farne solo un’agiografia, come si fa ipocritamente in questi casi significherebbe fare un torto alla sua intelligenza e alla sua memoria.

Berlinguer era un uomo del suo tempo, e rendere il suo pensiero dogmatico, cioè astrarlo dal contesto storico in cui le riflessioni maturarono e a cui si riferirono è il più grande torto che si possa fare a un marxista non dogmatico qual era. Ciò non vuol dire che le sue analisi, le sue riflessioni oggi non valgono. Molta della sua produzione politica e culturale è valida ancora oggi. Ad esempio, la citazione utilizzata ora è valida perché le condizioni storiche nella loro essenza sono rimaste uguali. Anzi, nel caso specifico sono peggiorate fino a incancrenirsi. Altre, invece, come quelle attualmente di gran moda sull’Alleanza Atlantica, sono assolutamente fuori luogo, perché il contesto storico-politico, geopolitico e anche economico è completamente stravolto rispetto a prima dei Settanta, in cui furono elaborate.

È inutile fare una lista: per il suo centesimo compleanno, si spenderanno giustamente fiumi di inchiostro per ricordare uno degli uomini politici più audaci, saggi e preparati che la Sardegna ha donato all’Europa e per questo speriamo di leggere anche critiche oneste e non strumentali (visto come vanno i tempi, c’è da dubitarne).

A noi ci piace pensarlo ancora al timone di un gozzo panciuto a solcare le onde di Stintino, specie quando il maestrale sferza il mare che la separa dall’Asinara. Così, libero e felice di quella libertà e felicità che solo il mare sa regalare.

Da tutti noi di Nemesis, buon vento Enrì! Ci manchi, oddio quanto ci manchi.

Mario Gottardi, giornalista, esperto di comunicazione aziendale e politica. Ama e coltiva lo studio della Storia, appassionato di apnea e montagna.

Grazie a Nemesis, articolo pubblicato nel sito www.nemesismagazine.it il 25 maggio 2022.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *