Gianni Francioni, insigne studioso di Antonio Gramsci
di Giorgio Macciotta.
Gianni Francioni ha trascorso più dei due terzi della sua vita a Pavia, dove era andato all’indomani della maturità classica per coltivare i suoi studi e dove, dopo la laurea, iniziò una attività prestigiosa di studi, di insegnamento, di impegno culturale. Le sue radici profonde erano, però a Sassari dove aveva fatto parte di quel non piccolo gruppo di esponenti della classe dirigente intellettuale formatasi al liceo Azuni sotto la guida di Manlio Brigaglia.
Era quasi inevitabile che quelle radici lo portassero, nel suo primo impegnativo lavoro, a misurarsi con Antonio Gramsci di cui, nella tesi di laurea, ricostruì la formazione nel cruciale quinquennio 1914-1919.
Inizia poi un periodo di studi paralleli.
Da un lato il ‘700 e la straordinaria esperienza degli illuministi lombardi (da Beccaria a Verri) di cui cura preziose edizioni (ivi comprese le Edizioni nazionali delle opere) e di cui ricostruisce i rapporti con la cultura europea (a partire da Voltaire). Del valore di quel suo lavoro è testimonianza il premio «Antonio Feltrinelli» per le Scienze filosofiche, prestigioso riconoscimento conferitogli, per il 2025, dall’Accademia dei Lincei.
Di particolare rilievo è il secondo filone di studi che Gianni coltiva: l’approfondimento del pensiero di Gramsci, in particolare ricostruendo il metodo di lavoro del pensatore sardo nella sua tormentata vita carceraria, e nella costruzione della sua fondamentale eredità intellettuale: I quaderni del carcere.
Francioni formulò ipotesi innovative sulla loro struttura, confluite in un primo tempo nel suo “L’Officina Gramsciana” e, in un secondo tempo, nel quadro dell’edizione nazionale delle opere di Gramsci, poste a base della relativa sezione, di cui fu naturalmente curatore, in un fecondo rapporto con la Fondazione Gramsci di Roma. Di quel rapporto, delle ricadute sulle sue scelte di ricerca, Francioni ebbe modo di parlare nel 2017, in occasione della presentazione a Sassari del volume di Beppe Vacca “Modalità alternative”, rievocando il suo primo contatto proprio con Beppe Vacca, all’inizio degli anni ‘80.
È un intervento che si colloca all’interno del nuovo impegno che Gianni aveva assunto, accettando di far parte del Primo Consiglio di Indirizzo della Fondazione Casa Museo Antonio Gramsci di Ghilarza. Mi è spesso capitato di dire che non avrei mai accettato di svolgere il ruolo di Presidente che mi era stato proposto, dalla Fondazione Enrico Berlinguer e dagli altri soci fondatori, su proposta di Francesco Berria, se non avessi avuto la certezza di avere “le spalle coperte” da Beppe Vacca, cui mi univa una comune esperienza politica e istituzionale, e da Gianni Francioni, che avevo conosciuto e apprezzato, nel suo ultimo anno di liceo, che coincise con uno dei miei primi anni di insegnamento, e di cui avevo seguito da lontano la prestigiosa esperienza culturale e, in particolare le innovative proposte su Gramsci.
Il nostro rapporto non è stato facilissimo. Superata “la luna di miele”, ci sono stati, anzi, momenti di durissima tensione. Poi, superati incomprensioni ed equivoci, il rapporto si è rinsaldato e, nella decisiva fase della costruzione del nuovo polo museale, Gianni è stato, insieme al team del Dipartimento di Architettura dell’Università di Cagliari e al Sindaco pro tempore di Ghilarza, parte determinante del motore che costruì il bando di gara, si confrontò con i progettisti, contribuì in modo determinante alla formazione del progetto definitivo.
Non meno rilevante è stato il suo contributo al rinnovamento del modello organizzativo e gestionale della Fondazione, in occasione della trasformazione da “onlus” in “ETS”.
Si tratta di due processi di cui è ormai prossima la conclusione
Negli stessi anni il contributo di Gianni è stato determinante per la definizione di gran parte delle iniziative culturali della Fondazione, a partire da quella più prestigiosa, la “Ghilarza Sommer Scholl”, che, per dirla con le sue parole, “si ispirava all’idea di dedicare al pensiero di Gramsci una scuola di alti studi e di radicarla nel paese della sua infanzia e della sua giovinezza”. Un’iniziativa, con cadenza biennale, che Gianni aveva inventato, organizzato, e diretto dal 2014 e che, a partire dall’edizione del 2018, si svolge a cura della Fondazione Casa Museo.
Non sarà facile trovare, per la sua sostituzione negli organi della Fondazione, una personalità che, come Gianni, “conosca”, “capisca”, “senta”, il valore dell’eredità di Gramsci ed operi per valorizzare, con lui, la sua terra.
Son molti i debiti che la Fondazione Enrico Berlinguer e gli altri soci fondatori della Fondazione Casa Museo Antonio Gramsci hanno verso di lui e che dovranno essere onorati.
