Ciao Deddeddu

di Natalino Piras.

Deddeddu, Diego Casu, bittese, classe 1951, venuto a mancare a 73 anni il 3 gennaio. Eravamo amici dal tempo dell’infanzia. Tali restiamo, pure compagni, rimasti a sinistra nonostante tutto. Abbiamo ricevuto entrambi, come tanti nostri coetanei, forte educazione cattolica, di segno paesano, dentro la civiltà pastorale ma pure la globalità del villaggio elettronico di cui parla il nostro compaesano Michelangelo Pira.

Diego era da molto tempo che combatteva la malattia con coraggio e ferocia da leone, sostenuto dalla moglie Maria Antonietta. Pubblicava su FB le andate e i ritorni per le chemioterapie in Piemonte, a Candiolo, nella circoscrizione metropolitana di Torino. Quanto più scoraggianti i risultati delle analisi tanto più lui diventava forte, accettando la solidarietà di quanti gli dicevamo di resistere.

In questi ultimi quattro anni, dagli inizi del 2021, Deddeddu ha lavorato sino all’ultimo alla cura della riedizione, per Carlo Delfino, dell’opera omnia di Monsignor Raimondo Calvisi, suo zio, fratello della nonna materna, Nonnu per tutta famiglia. Era la nostra comune intrapresa. Siamo arrivati, come edito, sino al quarto libro. Ne mancano due. L’ultima volta che ci siamo sentiti per telefono Diego che da bambino era Aquila Rossa, così lo ricorda Mario Pala per dirne l’agilità ma pure il senso della ribellione e del mettersi a capo della banda del vicinato, tra Cadone e Santu Tomas, faticava a parlare. Però non defletteva di spirito nel dire a se stesso e a me che bisognava fare in fretta perché almeno il quinto libro venisse completato. Sentiva che il tempo veniva meno ma lui a quel tempo non voleva assolutamente concedere quanto non gli doveva essere concesso.

Spirito battagliero, abituato dalla sua militanza nel PCI, quello delle lotte per i diritti, per il lavoro, per la pace, per una Sardegna migliore. Tutto questo Deddeddu metteva nel lavoro editoriale sui libri di Monsignor Calvisi. Per lui, così come per me, la riedizione dei libri di Raimondo Calvisi, il lavorarci con passione e rigore, con competenza e con prospettiva storica, era una ragione di vita. In spirito di servizio alla comunità, quella bittese e diverse altre, e come realizzazione delle proprie legittime ambizioni. Appieno nel villaggio di appartenenza e in tutte le sue globalità. Scrive in “Tutte le anime”, l’introduzione che insieme firmiamo nel primo libro, riferendosi allo zio, Nonnu Calvisi, alla sua postura di «prete di sinistra», così lo chiamava Clara Gallini, alla sua visione etica, il suo coltivare «vigne sterpose» come missione sacerdotale e come ricercatore di storie: «Il suo grande merito è avere compreso l’importanza di trasferire per iscritto quei racconti tramandati oralmente per diverse generazioni. Li tramanda a futura memoria. Sta in questo la sua grandezza, la sua intelligenza, la sua sensibilità, il suo intuito. Ha visto ciò che altri non vedevano. Si è reso conto che la società stava rapidamente cambiando. E quel cambiamento repentino avrebbe spazzato via tutto quel patrimonio culturale formatosi sino ad allora: una parte fondante della identità bittese e della tradizione agro-pastorale barbaricina.

Ha così contribuito in modo significativo, a rafforzare la tradizione, il concetto di coesione sociale di una comunità che si riconosce in un passato e lo porta con sé nel presente e nel futuro, come fondamenta e pilastro della propria identità. Quella forza e coesione che ho visto manifestarsi prepotentemente in occasione dell’ultima alluvione che ha devastato Bitti. Sia i Bittesi rimasti a vivere in paese, sia quelli de “su disterru”, si sono sentiti coinvolti e partecipi per una ripresa rapida della vita della comunità di cui si sentono ancora parte. Sa idda de Vitzi, comunità, ha risposto solidale e coesa. Ripubblicare oggi i libri di monsignor Raimondo Calvisi, ha per noi lo scopo di contribuire alla costruzione ed al mantenimento di quella identità di comunità, e di consolidare quel senso di appartenenza che ci accompagnerà nel prossimo futuro».

Quanto Diego dice per Monsignor Calvisi lo sostengo adesso io per lui. Era appieno nella linea della scuola impropria, quella che ha radici nel contesto pastorale e contadino, continuamente auto educante, come elaborata e narrata appunto da Michelangelo Pira: i saperi e l’organizzazione della speranza, sempre dalla parte degli ultimi. Non c’è caritas più grande che lavorare insieme per la communitas di cui si è parte. È questo il lascito di Deddeddu.

Il commiato è giusto enunciarlo in sardo: Deddeddu at a restare semprere in s’ammentu de su ichinatu, de sa idda, de s’istoria nostra. Il vicinato come civiltà, il paese come orizzonte prospettico, le nostre storie dentro la Storia.

Diego Casu

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